Vincent Van Gogh - Notte stellata sul Rodano - particolare (Musée d’Orsay, Parigi)

08 luglio 2009

Il G8 del Papa

Papa Benedetto XVI ha scritto a Silvio Berlusconi, presidente del vertice del G8 in qualità di leader del Paese ospitante, perché attraverso di lui il messaggio giunga ai grandi della terra, riuniti da mercoledì a L’Aquila per un summit che ha già assunto un rilievo simbolico straordinario. È il G8 che deve provare a dare risposte alla grande crisi, vincendo la debolezza cronica della politica nei confronti di un mercato ammalato ma che pretende in modo presuntuoso di bastare a se stesso.

La lettera, particolarmente accorata e drammatica, come già accaduto in passato prova a dare un contributo per l’agenda delle priorità. Le priorità del bene comune, di tutti e di ciascuno.

Scrive il Papa che le “sfide della crisi economico-finanziaria in corso” ma anche “i dati preoccupanti del fenomeno dei cambiamenti climatici” rendono necessario e urgente “un saggio discernimento e nuove progettualità per convertire il modello di sviluppo”, rendendolo capace “di promuovere, in maniera efficace, uno sviluppo umano integrale, ispirato ai valori della solidarietà umana e della carità nella verità”.

Verrebbe da pensare a un testo fortemente critico nei confronti del modello di sviluppo occidentale. Ma la chiave del suo ragionamento non è certamente di stampo anticapitalista né segnata da un’avversione ideologica al mercato. Meno che mai si espone ai rischi della pericolosa deriva (annusata con soddisfazione anche da una parte del mondo cattolico) verso l’utopia della decrescita. Su questo punto, a scanso di ogni equivoco, il Papa rimanda esplicitamente alla sua prima Enciclica sociale (la Caritas in veritate), la cui presentazione ufficiale avverrà proprio (e forse non casualmente) oggi, alla vigilia del vertice abruzzese.

Leggendo le anticipazioni ormai in circolo da qualche giorno, emerge in essa una visione armonica della realtà economica, in cui al centro non ci sono le regole (sempre più difficilmente garantite dagli Stati o dalle organizzazioni internazionali) o i meccanismi astratti (la mitica “mano invisibile” di un mercato presunto autosufficiente), ma l’uomo con le sue esigenze costitutive, i suoi desideri di bene, di felicità, di giustizia. Il mercato, scrive Benedetto XVI nella sua terza Enciclica, “è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone […] per soddisfare i loro bisogni e desideri”. Ma per sua natura (perché così è la natura dell’uomo e di tutto ciò che costruisce) “non è in grado di produrre da sé ciò che va oltre le sue possibilità. Esso deve attingere energie morali da altri soggetti, che sono capaci di generarle”. Il mercato insomma ha bisogno di essere immerso in una realtà sociale più ampia, che lo rifornisca di fiducia, gratuità, giustizia. Altrimenti, sono guai.

Analizzata attraverso queste pagine di adamantina ragionevolezza, la lettera ai grandi della terra assume allora un significato ancora più stringente. Per arrestare la crisi, per provare a vincere la povertà e la miseria, non servono i grandi progetti astratti, le politiche calate dall’alto, il paternalismo dello Stato assistenziale. E non basta nemmeno lasciar andare il mercato a briglia ancora più sciolta. Al contrario, serve un investimento deciso sulla “risorsa umana”, principale soluzione alla crisi che ci investe. E come si fa a investire sulle persone, sul capitale umano? Passando attraverso l’educazione, la sussidiarietà e il lavoro.

Una proposta essenziale, quella del Papa, in cui gli Stati e le organizzazioni internazionali sono chiamati a sostenere, non a sostituire, gli sforzi profusi innanzitutto dalla Chiesa e dalle altre confessioni religiose, direttamente o attraverso le rete delle organizzazioni non governative presenti in ogni angolo del globo.

Questa è la vera sfida che la politica è chiamata a raccogliere. Al di là di un’antistorica distinzione tra un mercato irrimediabilmente perverso e uno Stato naturalmente portatore esclusivo di un principio di giustizia, e oltre ogni pretesa (o speranza) di una governance globale che sembra sempre più assomigliare ad una chimera.

di Luca Pesenti tratto da [ilsussidiario.net] 7 luglio 2009

04 luglio 2009

Chesterton beato?

Pochi non conoscono lo scrittore Gilbert Keith Chesterton, giornalista, poeta e scrittore londinese. Anglicano, a 48 anni si convertì al cattolicesimo grazie all'amicizia con un sacerdote irlandese, padre John O'Connor, a lui Chesterton si ispirò per dar vita al personaggio principale di molti suoi libri da cui nacque in seguito anche ad una lunga serie di film: padre Brown.
Ma pochi sanno che grazie a lui molte altre persone si sono convertite.

Una sua celebre frase ben si adatta al gossip politico imperante di questi tempi:
Se c'è qualcosa di peggio dell'odierno indebolirsi dei grandi principi morali, è l'odierno irrigidirsi dei piccoli principi morali.
Proprio oggi in Gran Bretagna si parla di lui e della sua santità.

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Cesterton beato?
di Lorenzo Fazzini tratto da [Avvenire] 3 luglio 2009


Chissà se dovremo chiamarlo S. GKC. Se con le ultime tre lettere viene abbreviato il suo appellativo, quella «S.» potrebbe stare per «San». E in questo modo la verve polemica e la scrittura folgorante di Gilbert Keith Chesterton arriverebbero direttamente sugli altari di Santa Romana Chiesa.

A questo aspira l’incontro promosso domani, sabato 4 luglio, dalla società letteraria a lui dedicata in Gran Bretagna: verificare se quell’indicazione di «persona santa» che il cardinale Emmett Carter gli assegnò post-mortem possa valere del tutto. «La santità di G.K.Chesterton» è il titolo del convegno che si terrà nella cappellania cattolica della Oxford University a St. Aldate’s. I relatori sono di massimo prestigio nel campo degli studi chestertoniani: ad aprire i lavori sarà il presidente della Chesterton Society inglese, William Oddie, che parlerà su «Fede, speranza e carità: le virtù fondamentali di Chesterton», con riferimento alla pratica «eroica» delle virtù che la Chiesa domanda come requisito per aprire una causa. A seguire Sheridan Gilley analizzerà la «santità di GKC come giornalista», mentre padre Ian Kerr si concentrerà sulla relazione tra «humour e santità» nell’inventore di padre Brown. Il pomeriggio vedrà il domenicano Aidan Nichols indagare sulla possibile dimensione di «padre della Chiesa» del romanziere britannico. Già papa Pio IX, alla sua morte, inviò un telegramma alla famiglia ricordando Chesterton come «grande difensore della fede cattolica». Affermazione che fa dire a Oddie: «Questo suona quasi come una sorta di informale dichiarazione che Chesterton è stato un Dottore della Chiesa».

Ma c’è anche chi non pensa di vedere l’autore di Ortodossia come beato: il giornalista inglese A.N. Wilson (che di recente sulla rivista progressista New Statesmen ha dichiarato di essersi convertito al cattolicesimo) considera «assurda e bizzarra» tale possibilità. Ma i «chestertoniani» di ferro scaldano i motori in vista dell’assise di Oxford: «Penso ci sia una grande evidenza della santità di Chesterton: le testimonianze sul suo conto parlano di una persona di grande bontà e umiltà, un uomo senza nemici», spiega ad Avvenire Dale Ahlquist, presidente dell’American Chesterton Society con sede a Minneapolis. «La sua grandezza sta anche nel fatto che presentava una prospettiva cristiana ad un uditorio laico. I suoi libri (Ortodossia, San Francesco d’Assisi o San Tommaso d’Aquino per citarne alcuni) sono brillanti presentazioni della fede cristiana». Ahlquist punta anche sulla conoscenza che l’attuale pontefice ha del narratore inglese: «Benedetto XVI ha letto e citato Chesterton. La gente sta iniziando a capire che la sua analisi profetica sul nostro tempo è notevole».

Lo stesso Oddie, dalle colonne di The Catholic Herald, giornale cattolico britannico, racconta un aneddoto significativo: «L’anno scorso, all’annuale conferenza dell’American Chesterton Society, mi è stato chiesto a che punto fosse la causa di beatificazione di Chesterton. Dissi che non c’era nessuna causa. L’uditorio reagì con incredulità. Io replicai che per aprire un iter di beatificazione ci deve essere un’evidente fama di santità. Un uomo si alzò e, indicando i 500 presenti, disse: perché pensa che siamo qui?». Tra gli ammiratori di GKC ve ne sono alcuni, poi, che proprio grazie a questo convertito hanno (ri)scoperto la fede. Joseph Pearce, docente di letteratura all’Ave Maria University in Florida e autore di diversi saggi sui «convertiti letterari» (C.S. Lewis, J. H. Newman, J.R. Tolkien e altri), è uno di questi: «incontrò» GKC in una prigione inglese, incarcerato in quanto xenofobo. E la razionalità spirituale del suo argomentare lo convinse a diventare cattolico. «Chesterton è all’origine anche della mia conversione», conferma Alhquist.

Ma quali sono gli elementi della personalità di GKC che lo potrebbero condurre agli onori dell’altare? Nel suo saggio su The Catholic Herald Oddie ne indica alcuni. Anzitutto, l’adesione completa a Dio, concretizzatosi con la conversione al cattolicesimo nel 1922: «C’è un momento, nella vita di molti santi, in cui la crisi personale viene seguita da un incontro personale con Dio che causa un cambiamento completo». Poi, il senso di pentimento: Oddie svela un verso inedito di Chesterton, trovato mentre preparava il suo libro Chesterton and the Romance of Orthodoxy: «C’è un segreto per la vita/il segreto di una constante espiazione». Poi, la costante ricerca di Dio dell’autore di L’uomo che fu Giovedì. Ascoltiamo le parole ­inedite - dell’interessato, da un poema intitolato The walk : «Hai mai saputo cosa è camminare/lungo una strada dentro un certo pensiero/in cui tu potresti immaginare di poter incontrare Dio ad ogni punto del cammino?».

Una ricerca quasi mistica, come testimoniò un suo amico, Rann Kennedy, al biografo Maisie Ward: «Gilbert era sempre impegnato con un mondo 'altro'. Per spiegare chi era dobbiamo ricorrere alla categoria degli eremiti. Era innocente, semplice, profondamente umile. Gioiva di una perpetua eucaristia del desiderio». Rimarca ancora Oddie, riferendosi ai mitici scontri di Chesterton con intellettuali atei come H.G. Wells e George Bernard Shaw: «Odiava l’eresia, ma aveva una straordinaria capacità di amare l’eretico». E l’amico scrittore Hilaire Belloc diceva: «Non solo capiva le qualità dei suoi oppositori, ma anche le ammirava. Per questo è stato universalmente amato».