Vincent Van Gogh - Notte stellata sul Rodano - particolare (Musée d’Orsay, Parigi)

09 gennaio 2010

L’ipocrisia di chi combatte il suicidio ma promuove l’eutanasia

Non so cosa ne pensate e che effetto fa a voi sentire queste notizie, a me personalmente mettono una gran tristezza.
Mi domando ma di quale libertà stiamo parlando? La parola "libertà" davvero vuole solo dire "faccio ciò che voglio", anche uccidermi è nel mio diritto? Ma allora cos'è il diritto? Dicono che è un insieme di norme che regola la società e la convivenza civile. Sì ma è una società malata e distorta quella che pensa di essere libera di uccidersi.

Vi propongo una bella riflessione sull'argomento con un aricolo del neonatologo Carlo Bellieni pubblicato su ilsussidiario.net di oggi.
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In Italia ancora chiacchieriamo di testamento biologico, mentre nel resto del mondo già si va a discutere su come normare il suicidio, la cui legittimità ormai sta diventando scontata e presto ce lo ritroveremo in casa (in Svizzera è lecito; si dirà: «forse vorrete obbligarci al turismo suicidario, e non lasciarcelo fare sotto casa nostra?»). Sorprendentemente però leggiamo un recente studio di un’equipe del New York State Psychiatric Institute, che spiega come tanti suicidi sono prevenibili con lo sport e l’attività sociale. Ma come: se ne interessano gli psichiatri, quando abbiamo ormai deciso che suicidarsi è un atto di autodeterminazione e libertà, e non un fatto patologico? E forse qualcuno osa ancora prevenire il suicidio, quando si è appena sancito (giornali e TV alla moda) che il suicidio è un diritto?

Già: suicidarsi comincia ad entrare nella mentalità come un nuovo diritto. Ci sarà chi obietterà che il suicidio diventa un diritto dopo che la richiesta è stata burocratizzata, approvata da una commissione di cui facciano parte psicologo, oncologo, geriatra, e magari anche il “ministro del culto” (scommetto che c’è chi ci ha pensato). Insomma, prima dicono che il suicidio è un fatto di autodeterminazione, poi ci ridicono invece che l’autodeterminazione in oggetto è accettabile o meno a seconda del volere di una commissione, quindi è un’autodeterminazione in libertà vigilata. Quando poi facciamo notare che la commissione potrebbe chiedere di cambiare le condizioni ambientali o curare la depressione invece di far morire la gente, ci rispondono che non dobbiamo interferire con le “libere scelte”; e così l’autodeterminazione rientra dalla finestra. Ma è davvero autodeterminazione se è una scelta solitaria? E da cosa dipende davvero il suicidio (sempre che a qualcuno interessi scoprirne e prevenirne le cause e non solo spalancarne i cancelli)? Troviamo ad esempio proprio in questi giorni sulla rivista Sleep un altro studio che ha misurato che la tendenza al suicidio peggiora con il diminuire delle ore di sonno negli adolescenti che vanno a letto senza orari, dopo ore e ore i TV o internet. Sarà allora colpa dell’insonnia? Permettete che dissentiamo se qualcuno commenta che togliersi la vita dipende dalle ore di sonno, mentre lo studio mostra secondo noi ben altro: i genitori non sono più in grado di dare regole ai figli, cioè di fare i genitori, non danno orari, non fanno compagnia, e i figli sono orfani più orfani di quelli che hanno i genitori morti; e non pensate che questo “orfanaggio” culturale non sia uno stimolo alla perdita di entusiasmo e amore alla vita?
La cultura dominante cerca invano di prevenire il suicidio che lei stessa induce abbandonando i giovani a se stessi e abbandonando a solitarie decisioni le persone tristi; e l’induce anche permettendo che in TV vadano personaggi che banalizzano l’uso della marijuana, quando degli studi mostrano il rapporto tra uso di cannabis e ideazioni suicide, come per esempio la rivista Case Reports in Medicine del giugno 2009. Una società che venera l’autodeterminazione-solitudine, che sogghigna sulla tragedia di chi assume droga, presto farà arrestare chi fermerà un suicida, perché dirà che il vigile urbano o il passante o la moglie hanno privato il suicida della sua “libera scelta”; sarà la nuova moda senza fondamenta scientifiche, tragica come quella della chiusura dei manicomi fatta in nome dello slogan che la malattia mentale “non esiste” (e ora si fa tardiva marcia indietro sulla pelle di tanti che ne hanno sofferto); e così avverrà per l’apertura al suicidio sulla base dell’assioma che «ogni decisione sottoscritta da un notaio è per definizione libera»: ma è solo un nuovo slogan, una nuova violenza.

07 gennaio 2010

Dall’auto esce uno spot contro l’aborto

Finalmente uno spot che parte dal positivo, pensa al bene per tutti e non solo al commercio. Una pubblicità bella perché vera, complimenti ai creativi della Ford.

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Così lo descrive Renato Farina in un articolo apparso ieri su ilgiornale.it.

Improvvisamente la pubblicità dice la verità, ma una verità così potente che va contenuta nei limiti dell'accettabile. Ma non ci riesce, esplode lo stesso, e io la trovo bellissima. C'entra con la festa dei bambini quale è da sempre l'Epifania, che vuol dire «manifestazione» della verità di un bambino dinanzi al mondo.
La Ford ha lanciato la campagna degli ecoincentivi per il 2010 per chi acquisti una sua vettura il cui punto forte è uno spot dove i protagonisti sono tre animali. Sono un orso, un elefante e un delfino. Ovvio il nesso: proteggi la natura usando auto pulite e l'ambiente diventa più accogliente non solo per l'animale uomo, ma per qualunque specie creata. Fin qui niente di particolarmente nuovo. La réclame va però più in là. Sono cuccioli. Ma cuccioli non ancora nati. Essi nuotano beati nelle acque materne. Sono già formati, si riconosce la piccola proboscide, il musetto. Sono azzurri come le cose belle dei nostri sogni, però sono reali anche se per vedere questi mammiferi ancora immersi nel liquido amniotico ci saranno volute telecamere grandi come una capocchia di spillo infilate sotto la pelliccia dell'orsa, dell'elefantessa e della delfina. Dunque il messaggio di protezione della natura, ma anche l'impulso a spendere denari, a mettere in moto l'economia è affidato a creature che devono nascere, che vogliono nascere, che è bello nascano. Creature che non vanno rigettate, non vanno sputate come rifiuti in un mondo schifoso, ma bisogna rispettare loro e il loro destino.
Vogliamo dirlo: è la prima pubblicità contro l'aborto che si sia vista. Mostra come l'aborto sia non solo contro gli esserini che non nascono, ma anche contro le madri che vorrebbero il loro bene, contro il desiderio di vita, di moltiplicazione e protezione che è in noi. Insomma contro la natura e l'ambiente.
Ho detto aborto. I creativi della pubblicità Ford però si sono accontentati della metafora, della analogia: i mammiferi, ma non quel tipo particolare di mammifero di nome uomo. Infatti se i tre protagonisti dello spot fossero stati tre bambini, magari di colori diversi, esso avrebbe diviso. Tutti infatti sono d'accordo che gli animali non vanno fatti abortire, ci sono campagne giustissime contro chi strappa gli agnellini persiani - i karakul - dal ventre di mamma pecora per farne pellicce di astrakan. Cito: «In un video diffuso da Human Society e girato nel 2000 in una fattoria in Uzbekistan (con 10.000 capi) si vede la pecora gravida tenuta a terra, le viene tagliata la gola e squartato il ventre per estrarre il feto». Orrore, non si fa. Né uccidere la madre e neanche il cucciolo. Anche il cucciolo d'uomo direi. È contro natura, contro gli ecoincentivi che sono dentro di noi. C'erano i verdi tedeschi - almeno una loro corrente - che negli anni '80 si dissero d'accordo con Ratzinger nella contrarietà all'aborto perché contro natura.
Ogni tanto bisogna ricordare che questa tragedia continua. E che non va bene. La nostra legge, la 194, si chiama «Per la tutela della maternità», poi legalizza l'aborto. Si era detto, quando nel 2008 Giuliano Ferrara presentò la lista No all'aborto, che il Parlamento avrebbe fatto di tutto per spingere verso il sostegno della vita nascente e di chi ne era artefice (la donna). Invece l'aborto fa progressi inesorabili grazie alla Ru486, che rende pericolosa per la donna, ma facile e solitaria la distruzione di un certo tipo di mammifero, che andrebbe tutelato. Il cucciolo d'uomo.
Mi rendo conto che sarò criticato per questa espressione presa di peso da Kipling. Si dirà: bisogna dire feti, che sembrano un po' meno bambini e molto meno persone. Ma io stavo citando la pubblicità della Ford, che nel sito Internet ufficiale viene descritta così: «La campagna di lancio, che punta sullo slogan "Perché l'ambiente conta davvero", si intitola "Baby Animals" e ritrae tre cuccioli (un delfino, un orso e un elefante, nelle foto) che riposano nel grembo materno». Li chiamano «animali bambini» e «cuccioli nel grembo materno», non dicono «feti». Mi viene in mente che bisognerebbe imparare a trattare e chiamare il mammifero umano con la stessa delicatezza che la Ford ci insegna verso delfini, orsetti ed elefantini non ancora nati.