Vincent Van Gogh - Notte stellata sul Rodano - particolare (Musée d’Orsay, Parigi)

25 dicembre 2011

La tentazione del Natale



Per descrivere la nostra umanità e per guardare in modo adeguato noi stessi in questo momento della storia del mondo, difficilmente potremmo trovare una parola più adeguata di quella contenuta in questo brano del profeta Sofonìa: «Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele». Perché? Che ragione c’è di rallegrarsi, con tutto quello che sta accadendo nel mondo? Perché «il Signore ha revocato la tua condanna».
Il primo contraccolpo che hanno provocato in me queste parole è per la sorpresa di come il Signore ci guarda: con uno sguardo che riesce a vedere cose che noi non saremmo in grado di riconoscere se non partecipassimo di quello stesso sguardo sulla realtà: «Il Signore revoca la tua condanna», cioè il tuo male non è più l’ultima parola sulla tua vita; lo sguardo solito che hai su di te non è quello giusto; lo sguardo con cui ti rimproveri in continuazione non è vero. L’unico sguardo vero è quello del Signore. E proprio da questo potrai riconoscere che Egli è con te: se ha revocato la tua condanna, di che cosa puoi avere paura? «Tu non temerai più alcuna sventura». Un positività inesorabile domina la vita. Per questo - continua il brano biblico - «non temere Sion, non lasciarti cadere le braccia». Perché? Perché «il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente». Non c’è un’altra sorgente di gioia che questa: «Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,14-17).
Che queste non sono rimaste solo parole, ma si sono compiute, è ciò che ci testimonia il Vangelo; nel Bambino che Maria porta in grembo, quelle parole sono diventate carne e sangue, come ci ricorda in modo commovente Benedetto XVI: «La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito» (Deus caritas est, 12). Ed è un fatto talmente reale nella vita del mondo che non appena Elisabetta riceve il saluto da Maria, il bambino che porta nel grembo – Giovanni – sussulta di gioia. Quelle del Profeta non sono più soltanto parole, ma si sono fatte carne e sangue, fino al punto che questa gioia è diventata esperienza presente, reale: «Ha sussultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,39-45).
Domandiamoci: il cristianesimo è un devoto ricordo o è un avvenimento che accade oggi esattamente come è accaduto duemila anni fa? Guardiamo i tanti fatti che i nostri occhi vedono in continuazione, che ci sorprendono e ci stupiscono, a cominciare da quel fatto imponente che si chiama Benedetto XVI e che ogni volta fa sussultare le viscere del nostro io. C’è Uno in mezzo a noi che fa sussultare il “bambino” che ciascuno di noi porta in grembo, nel nostro intimo, nella profondità del nostro essere. Questa esperienza presente ci testimonia che l’episodio della Visitazione non è soltanto un fatto del passato, ma è stato l’inizio di una storia che ci ha raggiunto e che continua a raggiungerci nello stesso modo, attraverso incontri, nella carne e nel sangue di tanti che incontriamo per la strada, che ci muovono nell’intimo.
È con questi fatti negli occhi che possiamo entrare nel mistero di questo Natale, evitando il rischio del “devoto ricordo”, di ridurre la festa a un puro atto di pietà, a devozione sentimentale. In fondo, tante volte la tentazione è di non aspettarsi granché dal Natale. Ma a chi è data la grazia più grande che si possa immaginare - vederLo all’opera in segni e fatti che Lo documentano presente - è impossibile cadere nel rischio di celebrare la nascita di Gesù come un “devoto ricordo”. Non ci è consentito! E non perché siamo più bravi degli altri fratelli uomini, non perché non siamo fragili come tutti, ma perché siamo riscattati di continuo da questo nostro venir meno per la forza di Uno che accade ora e che revoca la nostra condanna.
È solo con questi fatti negli occhi che potremo guardare il Natale che viene: non con una nostalgia devota, non col sentimento naturale che sempre provoca in noi un bambino che nasce e neppure con un vago sentimento religioso, ma in forza di una esperienza (perché tutto il resto non produce altro che una riduzione di “quella” nascita). Dove si rivela veramente chi è quel Bambino è in questa esperienza reale: il figlio di Elisabetta ha sussultato di gioia nel suo grembo. È il rinnovarsi continuo di questo avvenimento che ci impedisce di ridurre il Natale e che ce lo può fare gustare come la prima volta.

di don Julián Carrón 
pubblicato sull'Osservatore Romano del 24 dicembre 2011

13 dicembre 2011

La carità di Santa Lucia

Caravaggio, Martirio di Santa Lucia


I più sanno che, seguendo una tradizione medioevale, nella notte di Santa Lucia, i bambini che li avranno meritati riceveranno dei doni. Meno noto ormai è il fatto che questa tradizione trova origine nel particolare martirio di Santa Lucia, avvenuto a Siracusa sotto Diocleziano e dovuto alla sua conversione al cristianesimo che la portò alla decisione di consacrarsi dopo aver convinto la madre, assai facoltosa, a devolvere tutti i beni di famiglia ai poveri.

La decisione fece infuriare il promesso sposo di Lucia e i governanti di Siracusa che fecero decapitare la futura Santa. Nel tempo nacque la tradizione di legare alla sua memoria il gesto dei regali ai bambini in una giornata dedicata alla gratuità. Come purtroppo spesso avviene, la festa viene vissuta senza grandi richiami al suo significato, ma almeno per Padova e tutto il Veneto la cena di Santa Lucia che si svolgerà oggi per presentare le molte iniziative di Avsi (Associazione volontari per lo sviluppo internazionale, ong che opera dal 1972 in tutto il mondo), si prefigge lo scopo di rendere presente questo significato perduto.

Come diceva don Luigi Giussani, la carità non è un gesto che si esaurisce con un'azione ultimamente estrinseca alla propria natura, che possa evitare un vero coinvolgimento di se stessi. La carità, come gesto veramente umano, è un dono di sé commosso, per il bene di chi si aiuta e che cambia profondamente chi lo fa. Quando ci si accorge che qualcuno intorno a noi ha bisogno, come sempre più spesso avviene in questo periodo di crisi, ci si rende conto che quello che abbiamo non è nostro, anche quando sia stato costruito con il sudore della nostra fronte.

Ci si accorge che tutto è un dono: la vita che non ci siamo dati, la salute che non è ultimamente nelle nostre mani, l'intelligenza con cui ci muoviamo nella realtà, gli affetti, l'educazione, l'istruzione, il lavoro, il benessere più o meno grande di cui godiamo... Allora, prendere coscienza di essere donati a noi stessi ci cambia. Scopriamo che sotto l'egoismo, la cattiveria, il lamento, che non ci sono certo estranei, più grande e più potente permane in noi un cuore fatto di desiderio di bontà, giustizia, verità, che chiede solo di essere ridestato... Così, ci muoviamo per sopperire al bisogno di altri, a esempio, partendo per il Terzo Mondo, come molti missionari; oppure dando vita a opere di carità nei più svariati campi, come mostra la storia delle nostre città; o, molto più semplicemente, dando un po' dei nostri soldi a qualcuno impegnato in queste imprese. Ma, commossi nel profondo, quando torniamo alle nostre attività quotidiane, non ci muoviamo più come prima.


Come Santa Lucia vogliamo mettere in gioco qualcosa di noi stessi, o meglio, tutto noi stessi. Riemerge così il desiderio che anche quel che è più nostro non sia solo per il nostro tornaconto, ma per il bene di tutti.

Soprattutto in momenti di crisi come questo, si capisce che non è giusto attribuire la responsabilità di cambiare innanzitutto agli altri, alla politica, alla finanza, ai potenti. Si ricomincia a capire che dobbiamo vivere quotidianamente di vera carità, di dono di noi stessi, di desiderio di bene anche nella vita e negli interessi quotidiani. Così, come recita un recente volantino di Cl dal titolo "La crisi sfida per una cambiamento", si riscopre che questo desiderio di bene di nuovo in azione è il più potente fattore che fa rinascere ingegno, conoscenza, creatività, forza di aggregazione, speranza, nuova e più solida capacità di costruzione.

Questo si può imparare partecipando alla cena di Santa Lucia, che si svolgerà a Padova questa sera, o anche solo sapendo che c'è.
Di Giorgio Vittadini, tratto da [ilsussidiario.net] 12 dicembre 2011

01 dicembre 2011

Educazione alla fede dei piccoli




Sono libri per bambini delle elementari e delle medie. Essenziali nei contenuti e dalle immagini splendide. L’autore è don Andrea Marinzi, mentre le illustrazioni sono di Anna Casaburi e Arcadio Lobato. I volumi sono i primi di una collana, Storie di uomini, storia di Dio, pensata per parlare ai più piccoli della fede in modo semplice, ma senza mancare in verità e profondità.

La storia di Abramo (ed. La scuola, 48 pagine, 5,5 euro), ad esempio, non sembra delle più lineari: parla del cinismo dell’uomo, di resistenze e dubbi, fino al suo abbandono a Dio senza che questo significhi un salto nel buio. E dell’amore che, quando è vero, richiede sacrificio. Marinzi, lasciando parlare i fatti, fa emergere la comprensibilità di tali dinamiche. Si legge: «Ma un giorno Dio mise alla prova Abramo. Lo chiamò pronunciando il suo nome: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi”. Gli disse: “Prendi Isacco, il tuo unico figlio che ami, e vai sul monte che io ti indicherò. Là offrilo a me in sacrificio”. Poteva esserci richiesta più terribile?». L’episodio termina con Abramo che pur non capendo si fida, senza appunto che il concetto sia spiegato con aggiunte o ragionamenti.

Non c’è il rischio che i ragazzi pensino a Dio come a un padrone che chiede rinunce incomprensibili? Don Andrea risponde sapendo bene che per i bambini  sono normali molte cose che agli adulti sembrano difficili da comprendere: «Il sacrificio di Isacco – spiega – è un avvenimento molto duro. Ma i ragazzini non si spaventano. Quando lo racconto in prima media, dico che Abramo era pieno di gratitudine, sapeva che tutto ciò che aveva gli era dato da Dio. Dico che secondo me quel giorno piangeva, ma era troppo ragionevole fidarsi, dato che aveva visto tutta la bontà di Dio. Loro, al racconto, diventano seri, ma capiscono. Alcuni sanno già che poi Dio non toglierà il ragazzo ad Abramo. Chi invece non conosce la storia ha qualcosa dentro che gli fa dire: “È impossibile che Dio sia così crudele, ha in mente di sicuro qualche sorpresa”. Loro partono già da un’ipotesi positiva».

Anche nella storia di Maria e Giuseppe (ed. La scuola, 48 pagine, 5,5 euro) si parla della fiducia totale di una donna nell’amore di Dio e di un uomo nell’amore della sua donna. E della bellezza nel seguire questo bene, senza negarne il dramma. Queste pagine, poi, educano i ragazzi alla scoperta del centuplo a partire dal piccolo: «La storia che ha cambiato il mondo – si legge – comincia in un posto da nulla». Da nulla ma bellissimo, come dimostrano le illustrazioni. Non solo, il libro aiuta a riconoscere la Madre di Dio, svelandone tutte le caratteristiche. 

«È solo l’inizio di una collana – conclude don Andrea – pensata per aiutare a educare alla fede i ragazzi, attraverso la bellezza delle immagini e il fascino del racconto». 

di Benedetta Frigerio, tratto da [tempi.it] 30/11/2011