Vincent Van Gogh - Notte stellata sul Rodano - particolare (Musée d’Orsay, Parigi)

26 marzo 2009

La lingua e la distruzione della coscienza

Ho appena terminato di leggere un libro di Papasogli sulla figura di Giuseppe Moscati, medico Santo.
Prepotentemente mi balza agli occhi il grande divario tra la professione medica ai tempi di Moscati e l’attuale. Non fraintendetemi, non sto parlando di tecnologia e tutte le innovazioni in campo diagnostico che permettono oggi al medico, una diagnosi sempre più precisa in grado di intervenire con successo nella cura del paziente. Allora Moscati non lasciava nulla al caso, la sua grande conoscenza gli era indispensabile, ma per lui era nulla se non considerava ogni cosa del paziente, tutto di lui voleva conoscere per formulare la diagnosi e la cura, e sovente, andava oltre curando anche lo spirito.
Certamente Moscati ancor prima di essere medico era uomo, uomo vero che tutto metteva nelle mani di Dio.
Il divario mi è ancor più evidente leggendo l’articolo di Francesco D’Agostino “Strozzata da un eufemismo la figura classica del medico” pubblicato su Avvenire il 24 marzo.

Eufemismo (dal greco eu, bene, e phème, quanto detto) è una figura retorica con la quale si attenua l'asprezza di un concetto, usando una parola più mite più discreta.
Sembra secondo alcuni che questo avvenga per scrupoli religiosi o morali o per rispetto delle convenienze sociali. Ecco alcuni di questi esempi di significato attenuato di una parola troppo cruda: 'Non è più con noi', 'Se n'è andato' per 'È morto', 'male incurabile' per 'tumore'.
D’Agostino nel suo articolo parla di alcuni eufemismi abbastanza innocui, per poi farci riflettere con grande maestria su come alcuni termini vengono usati non solo per nascondere, ma anche per deformarne la percezione. Le armi della distruzione della coscienza dell’uomo diventan sempre più sottili.

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Stralcio dell'articolo di D'Agostino:

«… Il primo esempio eclatante lo si è avuto ormai parecchi anni fa, quando al posto del correttissimo termine 'divorzio' nel nostro sistema giuridico è entrata l’espressione 'scioglimento del matrimonio'.

Quando poi si è voluto legalizzare l’aborto, si è fatto ricorso a 'interruzione volontaria della gravidanza': l’acronimo IVG è diventato di uso comune e ha di fatto garantito che la sostanza del processo di riferimento (cioè appunto l’aborto) fosse percepita come del tutto burocratica e sanitaria. Ben più di recente, un’espressione assolutamente corretta come 'fecondazione artificiale' è stata messa da parte e genialmente sostituita da PMA, 'procreazione medicalmente assistita': come se l’intervento del medico nel processo fosse di mero supporto all’atto procreativo e non (almeno il più delle volte) artificialmente sostitutivo nei suoi confronti!

Su questa scia, nella scorsa legislatura sono stati presentati disegni di legge per dare riconoscimento giuridico all’IVS, cioè alla 'Interruzione volontaria della sopravvivenza': quel processo che alcuni bioeticisti erano ormai soliti chiamare 'suicidio assistito', ma che indubbiamente è apparso più gentile definire attraverso un nuovo acronimo, oltretutto ulteriormente legittimato dalla sua contiguità, non solo fonetica, con l’IVG.

Ci si poteva fermare qui? Naturalmente no, dato che la fantasia lessicale è inesauribile e la passione per gli eufemismi sembra incontenibile. Ecco quindi l’avvento nei Paesi di lingua anglosassone dell’espressione MAD, cioè 'Medically Assisted Death', morte medicalmente assistita. Un eufemismo meno ridicolo di quelli che abbiamo citato, ma ben più tragico e proprio perciò rivelativo più dei precedenti.

Nella MMA (per riformulare l’acronimo secondo gli usi linguistici italiani) emerge infatti con chiarezza che ciò che si pretende di ottenere, cioè né più né meno che la morte, deve realizzarsi essenzialmente grazie all’intervento 'assistenziale' di un medico. Situazioni tragiche e estreme, malattie terminali, sofferenze, pietà, desiderio di autodeterminarsi, insomma tutto l’insieme dei concetti che supportano l’esperienza dell’eutanasia nell’immaginario collettivo non compaiono in quest’espressione, perché non devono comparirvi: resta sola, a giganteggiare, la figura del medico, come quella di chi interpreta riassuntivamente la propria funzione come quella di chi è chiamato ad assistere, cioè a 'produrre' la morte.

Per chi usa questo eufemismo, non può che seguirne inevitabilmente l’idea che sia legittimo ricorrere alla MMA in tutta una varietà si situazioni: anche quando la malattia non sia terminale, anche quando non dia sofferenze, anche nelle situazioni in cui non ci siano incontenibili pulsioni pietose ed anche - perché no? - quando manchi la stessa autodeterminazione (basterà da parte del medico presumerla!). L’essenziale è che al centro della vicenda ci sia il medico, il signore della vita e della morte, colui che è in grado di usare il 'farmaco' nella sua duplice valenza di medicinale e di veleno. Così, dopo duemilacinquecento anni, umiliata da un eufemismo, si sta avviando al suo tramonto – se non saremo in grado di reagire – la tradizione della medicina ippocratica.»

18 marzo 2009

Spagna: Le specie animali minacciate di estinzione hanno maggiore protezione giuridica del nascituro


Carissimi lettori vi pongo una domanda:
 "Se numerose specie animali beneficiano di una vasta protezione, compresa quella penale, perché proteggere di meno la vita degli esseri umani che stanno per nascere?".

Il paradosso è ben sintetizzato con un bambino e una lince iberica che campeggiano vicini sul manifesto pubblicitario che dà il via alla campagna di informazione promossa dalla Conferenza episcopale spagnola in vista della "Giornata per la vita" che si celebrerà mercoledì 25 marzo. Sul felino appare la scritta “protetto”, sopra il bambino la domanda “E io?”. Sotto entrambi lo slogan: “Proteggi la mia vita!”.

Sconvolgente l’affermazione dei vescovi che compare in una nota intitolata "La vera giustizia: proteggere la vita di chi sta per nascere e aiutare le madri", i presuli affermano come "nella nostra società va prendendo piede un'enorme deformazione della verità riguardo all'aborto, che è presentato come una scelta giusta della madre volta a risolvere un grave problema che la tocca in maniera drammatica". Arrivando addirittura "a includere l'aborto fra i cosiddetti "diritti alla salute riproduttiva".
Ma ci pensate, l’aborto diritto alla salute riproduttiva, mi vengono i brividi, come può definirsi giustizia questo? A quale diritto ci riferiamo? E’ accertato, l’aborto provoca grande sofferenze, per quanti tentativi si facciano di dimenticare, rimarrano le cicatrici, segni che non si cancelleranno dal cuore di ogni madre. Questo è ciò che anche le più sfegatate femministe pro-aborto hanno, con tremore, il coraggio di ammettere, per poi trovare subito dopo le giustificazioni al gesto.
Il vero aiuto, "la giustizia autentica passa attraverso la difesa del nascituro e l'aiuto integrale alla donna affinché possa superare le difficoltà e dare alla luce suo figlio". Tutto ciò è in contrasto con una sempre più grande sensibilità che sta emergendo nella nostra società sulla necessità di proteggere gli embrioni delle diverse specie animali.
Recentemente sono state varate leggi che tutelano la vita di queste specie animali nelle loro prime fasi di sviluppo, ricorderete senz’altro il “Progetto Grandi Primati”, paradossalmente all’opposto accade che si disattende alla vita della persona umana che sta per nascere dove prevale sempre di più una mancanza di protezione. Il Codice penale spagnolo arriva a posizioni che rasentano l’assurdo a mio parere, sono difatti previste pene, incluso il carcere, per coloro che attentano contro la fauna e la flora protetta, ma il culmine sta nel fatto che si ribadisce che anche l'aborto è un delitto ma "che spetta al giudice, a seconda delle circostanze del caso, decidere la pena corrispondente". L’attuale normativa spagnola prevede che l'aborto non è considerato reato quando si interrompe la gravidanza nelle prime dodici settimane, nel caso di violenza sessuale, fino alle ventidue settimane se ci sono rischi di malformazione del feto e, sempre, se sussistono pericoli per la salute fisica e psichica della madre.
La difesa del valore assoluto del diritto alla vita, "che inizia dal momento della fecondazione", è l’obiettivo del Manifesto dei 300 o Dichiarazione di Madrid – presentato il 17 marzo 2009 e firmato da più di trecento fra scienziati, docenti e intellettuali impegnati nei campi della bio-medicina, delle scienze umanistiche e delle scienze sociali che nel documento si schierano con la Chiesa Cattolica e contro l’aborto libero.