Vincent Van Gogh - Notte stellata sul Rodano - particolare (Musée d’Orsay, Parigi)

25 dicembre 2011

La tentazione del Natale



Per descrivere la nostra umanità e per guardare in modo adeguato noi stessi in questo momento della storia del mondo, difficilmente potremmo trovare una parola più adeguata di quella contenuta in questo brano del profeta Sofonìa: «Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele». Perché? Che ragione c’è di rallegrarsi, con tutto quello che sta accadendo nel mondo? Perché «il Signore ha revocato la tua condanna».
Il primo contraccolpo che hanno provocato in me queste parole è per la sorpresa di come il Signore ci guarda: con uno sguardo che riesce a vedere cose che noi non saremmo in grado di riconoscere se non partecipassimo di quello stesso sguardo sulla realtà: «Il Signore revoca la tua condanna», cioè il tuo male non è più l’ultima parola sulla tua vita; lo sguardo solito che hai su di te non è quello giusto; lo sguardo con cui ti rimproveri in continuazione non è vero. L’unico sguardo vero è quello del Signore. E proprio da questo potrai riconoscere che Egli è con te: se ha revocato la tua condanna, di che cosa puoi avere paura? «Tu non temerai più alcuna sventura». Un positività inesorabile domina la vita. Per questo - continua il brano biblico - «non temere Sion, non lasciarti cadere le braccia». Perché? Perché «il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente». Non c’è un’altra sorgente di gioia che questa: «Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,14-17).
Che queste non sono rimaste solo parole, ma si sono compiute, è ciò che ci testimonia il Vangelo; nel Bambino che Maria porta in grembo, quelle parole sono diventate carne e sangue, come ci ricorda in modo commovente Benedetto XVI: «La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito» (Deus caritas est, 12). Ed è un fatto talmente reale nella vita del mondo che non appena Elisabetta riceve il saluto da Maria, il bambino che porta nel grembo – Giovanni – sussulta di gioia. Quelle del Profeta non sono più soltanto parole, ma si sono fatte carne e sangue, fino al punto che questa gioia è diventata esperienza presente, reale: «Ha sussultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,39-45).
Domandiamoci: il cristianesimo è un devoto ricordo o è un avvenimento che accade oggi esattamente come è accaduto duemila anni fa? Guardiamo i tanti fatti che i nostri occhi vedono in continuazione, che ci sorprendono e ci stupiscono, a cominciare da quel fatto imponente che si chiama Benedetto XVI e che ogni volta fa sussultare le viscere del nostro io. C’è Uno in mezzo a noi che fa sussultare il “bambino” che ciascuno di noi porta in grembo, nel nostro intimo, nella profondità del nostro essere. Questa esperienza presente ci testimonia che l’episodio della Visitazione non è soltanto un fatto del passato, ma è stato l’inizio di una storia che ci ha raggiunto e che continua a raggiungerci nello stesso modo, attraverso incontri, nella carne e nel sangue di tanti che incontriamo per la strada, che ci muovono nell’intimo.
È con questi fatti negli occhi che possiamo entrare nel mistero di questo Natale, evitando il rischio del “devoto ricordo”, di ridurre la festa a un puro atto di pietà, a devozione sentimentale. In fondo, tante volte la tentazione è di non aspettarsi granché dal Natale. Ma a chi è data la grazia più grande che si possa immaginare - vederLo all’opera in segni e fatti che Lo documentano presente - è impossibile cadere nel rischio di celebrare la nascita di Gesù come un “devoto ricordo”. Non ci è consentito! E non perché siamo più bravi degli altri fratelli uomini, non perché non siamo fragili come tutti, ma perché siamo riscattati di continuo da questo nostro venir meno per la forza di Uno che accade ora e che revoca la nostra condanna.
È solo con questi fatti negli occhi che potremo guardare il Natale che viene: non con una nostalgia devota, non col sentimento naturale che sempre provoca in noi un bambino che nasce e neppure con un vago sentimento religioso, ma in forza di una esperienza (perché tutto il resto non produce altro che una riduzione di “quella” nascita). Dove si rivela veramente chi è quel Bambino è in questa esperienza reale: il figlio di Elisabetta ha sussultato di gioia nel suo grembo. È il rinnovarsi continuo di questo avvenimento che ci impedisce di ridurre il Natale e che ce lo può fare gustare come la prima volta.

di don Julián Carrón 
pubblicato sull'Osservatore Romano del 24 dicembre 2011

13 dicembre 2011

La carità di Santa Lucia

Caravaggio, Martirio di Santa Lucia


I più sanno che, seguendo una tradizione medioevale, nella notte di Santa Lucia, i bambini che li avranno meritati riceveranno dei doni. Meno noto ormai è il fatto che questa tradizione trova origine nel particolare martirio di Santa Lucia, avvenuto a Siracusa sotto Diocleziano e dovuto alla sua conversione al cristianesimo che la portò alla decisione di consacrarsi dopo aver convinto la madre, assai facoltosa, a devolvere tutti i beni di famiglia ai poveri.

La decisione fece infuriare il promesso sposo di Lucia e i governanti di Siracusa che fecero decapitare la futura Santa. Nel tempo nacque la tradizione di legare alla sua memoria il gesto dei regali ai bambini in una giornata dedicata alla gratuità. Come purtroppo spesso avviene, la festa viene vissuta senza grandi richiami al suo significato, ma almeno per Padova e tutto il Veneto la cena di Santa Lucia che si svolgerà oggi per presentare le molte iniziative di Avsi (Associazione volontari per lo sviluppo internazionale, ong che opera dal 1972 in tutto il mondo), si prefigge lo scopo di rendere presente questo significato perduto.

Come diceva don Luigi Giussani, la carità non è un gesto che si esaurisce con un'azione ultimamente estrinseca alla propria natura, che possa evitare un vero coinvolgimento di se stessi. La carità, come gesto veramente umano, è un dono di sé commosso, per il bene di chi si aiuta e che cambia profondamente chi lo fa. Quando ci si accorge che qualcuno intorno a noi ha bisogno, come sempre più spesso avviene in questo periodo di crisi, ci si rende conto che quello che abbiamo non è nostro, anche quando sia stato costruito con il sudore della nostra fronte.

Ci si accorge che tutto è un dono: la vita che non ci siamo dati, la salute che non è ultimamente nelle nostre mani, l'intelligenza con cui ci muoviamo nella realtà, gli affetti, l'educazione, l'istruzione, il lavoro, il benessere più o meno grande di cui godiamo... Allora, prendere coscienza di essere donati a noi stessi ci cambia. Scopriamo che sotto l'egoismo, la cattiveria, il lamento, che non ci sono certo estranei, più grande e più potente permane in noi un cuore fatto di desiderio di bontà, giustizia, verità, che chiede solo di essere ridestato... Così, ci muoviamo per sopperire al bisogno di altri, a esempio, partendo per il Terzo Mondo, come molti missionari; oppure dando vita a opere di carità nei più svariati campi, come mostra la storia delle nostre città; o, molto più semplicemente, dando un po' dei nostri soldi a qualcuno impegnato in queste imprese. Ma, commossi nel profondo, quando torniamo alle nostre attività quotidiane, non ci muoviamo più come prima.


Come Santa Lucia vogliamo mettere in gioco qualcosa di noi stessi, o meglio, tutto noi stessi. Riemerge così il desiderio che anche quel che è più nostro non sia solo per il nostro tornaconto, ma per il bene di tutti.

Soprattutto in momenti di crisi come questo, si capisce che non è giusto attribuire la responsabilità di cambiare innanzitutto agli altri, alla politica, alla finanza, ai potenti. Si ricomincia a capire che dobbiamo vivere quotidianamente di vera carità, di dono di noi stessi, di desiderio di bene anche nella vita e negli interessi quotidiani. Così, come recita un recente volantino di Cl dal titolo "La crisi sfida per una cambiamento", si riscopre che questo desiderio di bene di nuovo in azione è il più potente fattore che fa rinascere ingegno, conoscenza, creatività, forza di aggregazione, speranza, nuova e più solida capacità di costruzione.

Questo si può imparare partecipando alla cena di Santa Lucia, che si svolgerà a Padova questa sera, o anche solo sapendo che c'è.
Di Giorgio Vittadini, tratto da [ilsussidiario.net] 12 dicembre 2011

01 dicembre 2011

Educazione alla fede dei piccoli




Sono libri per bambini delle elementari e delle medie. Essenziali nei contenuti e dalle immagini splendide. L’autore è don Andrea Marinzi, mentre le illustrazioni sono di Anna Casaburi e Arcadio Lobato. I volumi sono i primi di una collana, Storie di uomini, storia di Dio, pensata per parlare ai più piccoli della fede in modo semplice, ma senza mancare in verità e profondità.

La storia di Abramo (ed. La scuola, 48 pagine, 5,5 euro), ad esempio, non sembra delle più lineari: parla del cinismo dell’uomo, di resistenze e dubbi, fino al suo abbandono a Dio senza che questo significhi un salto nel buio. E dell’amore che, quando è vero, richiede sacrificio. Marinzi, lasciando parlare i fatti, fa emergere la comprensibilità di tali dinamiche. Si legge: «Ma un giorno Dio mise alla prova Abramo. Lo chiamò pronunciando il suo nome: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi”. Gli disse: “Prendi Isacco, il tuo unico figlio che ami, e vai sul monte che io ti indicherò. Là offrilo a me in sacrificio”. Poteva esserci richiesta più terribile?». L’episodio termina con Abramo che pur non capendo si fida, senza appunto che il concetto sia spiegato con aggiunte o ragionamenti.

Non c’è il rischio che i ragazzi pensino a Dio come a un padrone che chiede rinunce incomprensibili? Don Andrea risponde sapendo bene che per i bambini  sono normali molte cose che agli adulti sembrano difficili da comprendere: «Il sacrificio di Isacco – spiega – è un avvenimento molto duro. Ma i ragazzini non si spaventano. Quando lo racconto in prima media, dico che Abramo era pieno di gratitudine, sapeva che tutto ciò che aveva gli era dato da Dio. Dico che secondo me quel giorno piangeva, ma era troppo ragionevole fidarsi, dato che aveva visto tutta la bontà di Dio. Loro, al racconto, diventano seri, ma capiscono. Alcuni sanno già che poi Dio non toglierà il ragazzo ad Abramo. Chi invece non conosce la storia ha qualcosa dentro che gli fa dire: “È impossibile che Dio sia così crudele, ha in mente di sicuro qualche sorpresa”. Loro partono già da un’ipotesi positiva».

Anche nella storia di Maria e Giuseppe (ed. La scuola, 48 pagine, 5,5 euro) si parla della fiducia totale di una donna nell’amore di Dio e di un uomo nell’amore della sua donna. E della bellezza nel seguire questo bene, senza negarne il dramma. Queste pagine, poi, educano i ragazzi alla scoperta del centuplo a partire dal piccolo: «La storia che ha cambiato il mondo – si legge – comincia in un posto da nulla». Da nulla ma bellissimo, come dimostrano le illustrazioni. Non solo, il libro aiuta a riconoscere la Madre di Dio, svelandone tutte le caratteristiche. 

«È solo l’inizio di una collana – conclude don Andrea – pensata per aiutare a educare alla fede i ragazzi, attraverso la bellezza delle immagini e il fascino del racconto». 

di Benedetta Frigerio, tratto da [tempi.it] 30/11/2011

23 ottobre 2011

Nessun idolo ci salverà

Non ci salverà la politica e nemmeno l’economia. Non solo perché le scelte politiche ed economiche sono in gran parte responsabili della grave crisi che stiamo vivendo, ma soprattutto perché politica ed economia sono strumenti, importanti, ma sempre strumenti, la cui efficacia dipende da chi li usa. Li usa l’uomo, ovvero quell’unico fattore, che può lavorare per la trasformazione positiva della realtà. Ma dell’uomo non ci si preoccupa.

Ha detto il Papa al Bundestag: “Vorrei però affrontare con forza ancora un punto che oggi come ieri viene largamente trascurato: esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli ascolta la natura, la rispetta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana”.

L’errore dell’uomo è quando si considera superficialmente onnipotente. Oppure, che è il caso più frequente, pur considerandosi limitato, si affida a un suo prodotto, la scienza – della politica e dell’economia in questo caso – per affrontare problemi che egli non riesce a risolvere. Si affida, come dice la Bibbia, a un idolo e la sua impotenza diventa ancora maggiore. Deve invece affidarsi a ciò da cui dipende e, se non lo conosce, cercarlo, entusiasmarsi per esso.

Non si può essere diversi da quello che si è, nemmeno impegnandosi. Possiamo costatare che gli sforzi strategici e “riorganizzativi” lasciano il tempo che trovano. Bisogna rendersi conto di quello che si è. Non che non si debba pensare o tentare, ma partendo dal proprio posto, dalle ragioni della propria storia e del proprio presente. Costruire in nome di quello che si è e si crede, senza ipocrite indignazioni nè violenze, consapevoli che in quello che viviamo ci sono i nostri limiti, ma soprattutto quel che ci è stato dato, come bene personale e collettivo.
A trovare quello che non va sono capaci tutti. La vera critica è nella intelligenza di individuare quello che va e di perseguirlo. Nella nostra vita, nella società, nei partiti, nelle aziende, nel lavoro, ci sono molte cose che vanno e spesso senza merito nostro. C’è qualcosa più grande di noi. Per questo abbiamo speranza.

di Giancarlo Cesana
Nessun idolo ci salverà
tratto da [ilsussidiario.net] 20 ottobre 2011

18 settembre 2011

C'era una volta la Costituzione...

Immaginatevi una cosa bella a cui tenete tanto, qualsiasi cosa, date spazio alla fantasia. Ad esempio una preziosa tovaglia riccamente ricamata lasciatavi in dono dalla nonna da utilizzare per le grandi occasioni. Arriva la grande occasione da festeggiare, prendete la tovaglia riposta nell'armadio e, con grande dispiacere, scoprite che è stata assaltata da animaletti striscianti che hanno creato buchi e falle ognidove nel tessuto. Sconcerto, rabbia, dispiacere, tutte emozioni che in un baleno attraversano la vostra mente.

Ecco questa è esattamente l'impressione che ho avuto nel vedere come l'Emilia Romagna ha ridotto la nostra Costituzione spiegata ai giovani.
Occorre qui una spiegazione.
La Regione Emilia Romagna con l'intento di spiegare la costituzione ai giovani, ha interpellato fumettisti famosi e non realizzando una mostra che illustra alcuni articoli della costituzione. Ebbene, questa mostra sta girando l'Italia in occasione dei 150 anni e la Giunta Regionale dell'Emilia Romagna ha deciso di distribuirne il catalogo agli studenti della Regione.
Fin qui non ci sarebbe nulla da obiettare, l'intento è buono, ma il risultato è più che deleterio, ovvero ci troviamo di fronte all'ennesima trasformazione, altro che educazione civica, questa è vera e propria dis-educazione.
Il solo fatto che vengono considerati solo alcuni articoli da da pensare: estrazione al lotto, questo si quest'altro no? questo mi piace, questo non mi piace... a mo' di sfoglia la margherita.
Preso atto che non sono stati illustrati gli articoli, chissà perché tra quelli non considerati proprio gli artt. 29 e 31, forse perché parlano della famiglia?

Sono usciti articoli titolati "La Costituzione per i giovani cancella la famiglia", ma fosse solo questo non mi preoccuperei, non è certo la non illustrazione di qualche articolo che avrà il potere di cancellare la famiglia, i giovani a cui il documento è rivolto sanno molto bene da dove vengono, dove vivono, chi li ha generati e chi con amore li educa ed alleva.
Ma il tutto è ancor più sottile e deleterio, se guardate qui sotto la vignetta dell'art.30 sembra uno spot alla pornografia. Dico questo non perché voglio fare la bacchettona bigotta, ma veramente l'immagine raffigurata non ha alcun senso se non ribadire l'incapacità di alcuni genitori di educare i lori figli, ma a dir il vero a me pare la dimostrazione lapalissiana dell'incapacità di una certa politica di promuovere proposte educative rivolte ai giovani.
Purtroppo, chi ci va di mezzo sono proprio loro, i giovani, i nostri figli, perché questo documento finirà in mano proprio a loro, alle migliaia di studenti che magari saranno costretti a studiarlo senza domandarsi quanti sono effettivamente gli articoli della costituzione, o perché sembra che alcuni siano più importanti di altri.
Soprattutto, non si domanderanno perché una Giunta Regionale spende una barca di soldi pubblici per istruirli lacunosamente e male contribuendo ad ingigantire le falle del sistema educativo.


Ma l'Emilia non è la sola, c'è anche chi fa di peggio, ad esempio Milano con Pisapia non è da meno, basti pensare ai pinguini bisex.
Pisapia non è d’accordo con la costituzione italiana: «La Costituzione afferma che la famiglia è fondata sul matrimonio. Io la penso diversamente» sostiene il Sindaco neo-eletto. E allora che fa, decide di spiegare la "famiglia gay" e parte proprio dagli innocenti, dai piccoli che frequentano gli asili milanesi. Presenta ai bambini un libro sulle avventure di Piccolo Uovo, un manualetto sui "diversi tipi di famiglia" dove due pinguini maschi fanno da mamma e papà. E la famiglia tradizionale, quella tra un uomo e una donna, quella dove abitano i piccoli che frequentano gli asili, dov é? Avranno una bella confusione in testa quando a poco a poco gli inculcheranno che stanno vivendo una trasgressione perché la loro famiglia non è normale.

Non aggiungo altro, penso che basta avere un po' di buon senso e queste cose si commentano da sole.
Mi duole però pensare che sono questi gli strumenti a disposizione degli insegnanti per i loro studenti, affinché affrontino un percorso umano e critico.
Insegnanti svegliatevi! o meglio, usando le parole del prof. Nembrini «Se tu non ti occupi della politica, è la politica che si occupa di te».


21 agosto 2011

E l'esistenza diventa una immensa certezza


Da pochi minuti è partita ufficialmente la più grande kermesse estiva il Meeting dell'amicizia che si svolge ogni anno a Rimini verso fine agosto.
Sentiamo come ne parla oggi John Waters su il.sussidiario.net .




Il Meeting che "si respira"  
 
E' difficile descrivere il Meeting a qualcuno che non lo abbia visto personalmente, ma è quasi altrettanto difficile tradurlo in parole parlando con qualcuno che c’è stato. Si può, infatti, parlare dei contenuti: gli incontri, le discussioni, le mostre, la combinazione di arte, politica, musica, filosofia, tutte queste cose che sembrano, a prima vista, rendere il Meeting unico, ma nel senso della sua varietà e grandezza. O si può parlare dello “spirito” del Meeting, del suo ethos di educazione e riconciliazione, dell’entusiasmo e del senso di coinvolgimento che lo caratterizza, l’intensità delle persone che lavorano e si incontrano in questo eccezionale ambiente.
E tuttavia, vi è ancora qualcosa d’altro. L’essenza dell’avvenimento aleggia provocante attorno e dentro queste descrizioni, ma al di fuori della portata delle semplici parole. E davvero qualcosa che “si respira”. Forse non lo si può riscontrare nelle singole cose, ma diventa palpabile in una serie di incontri, suscitando un senso di benessere, di scopo, di scoperta e avventura, soprattutto un’eccitazione quasi da bambini, una sensazione dimenticata.
Espressa in modo negativo, è la dissoluzione della noia che accompagna l’uomo in quella che chiamiamo società “moderna”, la sensazione che tutto sia già deciso e che ci sia ben poco da scoprire. Sembra che non importi dove uno vada, c’è già stato e non ha niente da mostrare se non la t-shirt.
Oggigiorno siamo chiamati il più delle volte a “imparare” senza conoscere. Qualcosa può essere trattenuto, capito, registrato, ma, anche se rimaniamo saldi nella nostra sensazione di poter governare i “fatti”, il significato finale è tenuto in sospeso, come se stessimo aspettando una qualche comprensione definitiva prima di poter essere sicuri di qualcosa.
La curiosità dell’uomo si è separata dal suo desiderio di fondo, cosicché non si sente più spinto a un confronto globale tra sé e ciò che incontra. Non avendo fiducia nell’affermazione delle nostre più profonde aspirazioni, cerchiamo conferme “oggettive”e, dato che si dimostrano elusive, rimaniamo come bambini gettati in una folla lontano dai genitori, con le nostre esistenze diventate provvisorie, incerte e piene di paure.
Il Meeting, quindi, è come un rewind, fatto magari per indagare su qualche dettaglio del racconto che non quadra. Cos’è che ho scorto? Ho forse sentito male? Con la possibilità che tutto possa essere rivisitato alla luce di queste nuove impressioni.
Al Meeting si può sperimentare il conoscere come una situazione di puro risveglio. Si possono anche comprare t-shirt, ma questo promette di essere piuttosto l’inizio che la fine di qualcosa. Qui la conoscenza non è conquistata, ma penetrata e celebrata come il nutrimento più vitale della soggettività umana.
Dentro il cuore umano è scatenata la curiosità senza confini che, altrove, ha paura a dichiararsi per il timore di rivelare ciò che sembra qualcosa di vergognoso, ignoranza o stupidità, ma che in realtà è un ritorno alla capacità di stupirsi. Se il cristianesimo inizia con un evento nella storia, esso inizia anche con un evento nel cuore delle persone, il desiderio di conoscere qualcosa che, nella cultura che abbiamo costruito per proteggerci dai nostri dubbi e dalle nostre paure, non è più visibile a occhio nudo. Dietro i significati che abbiamo dedotto e introdotto, c’è una verità più profonda di ogni cosa.
Le parole allora vengono, pur inadeguate e parziali: il Meeting è una deliberata costruzione di un tipo di percezione della realtà ora nascosto, percepibile a malapena, che non è in superficie ma nel profondo, sotto ciò che riconosciamo dalle descrizioni che ci sono date: la familiare versione della “realtà”fatta dall’uomo, che ci calma e ci annoia al contempo.
Questo, e non meno di questo, è quanto il Meeting offre: l’universo restituito al mistero, ma reso conoscibile in un nuovo modo. Ci porta, nei suoi molteplici modi, nella profondità delle cose, vertiginoso ed esaltante, ma con una insistenza ferma e coerente. I suoi eventi non sono casuali presentazioni messe insieme all’insegna della molteplicità, ma un preciso sguardo nella direzione di “ciò che è”, che muove verso la profondità più profonda delle cose, nella certezza che ciò che verrà scoperto sarà una conferma del desiderio più profondo di chi viene per avere il proprio cuore spalancato.

 

16 agosto 2011

L'invasione del divino


Ultimamente navigando in rete mi capita di imbattermi in mostruose schifezze, come ad esempio la nonciclopedia, che mi fanno sentire impotente di fronte al male che seminano.
Ma grazie al cielo ho qualcuno a cui guardare, che mi fa volgere lo sguardo verso la vera Bellezza celata nei piccoli fatti di ogni giorno; amici come don Gabriele Mangiarotti che segnalando la testimonianza di Luisella Saro "L'invasione del divino" così scrive: "... e mi accorgo che il migliore antidoto alla violenza che ci circonda, alla banalizzazione della vita e dell’amore, alla crescita di una umanità senza volto né speranza sia proprio la testimonianza di un modo altro di vivere. Quel modo che trova nella testimonianza dei santi (quelli di cui la Didachè diceva di cercarne ogni giorno il volto per trovare conforto nel loro conversare) un alleato potente e infallibile".

In questa calda giornata d'agosto desidero donarvela, a me ha dato molta gioia e sono certa renderà lieti anche voi.

L'invasione del divino di Luisella Saro
tratto da [Cultura Cattolica.it] 2 agosto 2011



Van Gogh, Terrazza del caffè in Place du Forum ad Arles la sera

E’ bello il tempo dell’estate: è un tempo lento. Puoi guardare le cose e le persone con più attenzione, puoi fermarti a scambiare quattro chiacchiere senza la dittatura dell’orologio, vera o presunta che sia.
Ed è in questo tempo lento, in questo sguardo meno frettoloso e superficiale, che puoi scoprire, se lo vuoi, i dettagli. Nelle cose, nelle situazioni, nelle persone. Come l’altro giorno, al bar.
Mentre, sola, stavo sfogliando il quotidiano, in attesa del caffè, è entrato il titolare del negozio di giocattoli che si trovava in piazza, accanto a casa mia, e che è ormai chiuso da anni. Al suo posto, ora, una banca.
Con lui, la moglie e l’ultimo dei quattro nipotini. Tra poco compirà tre anni.
Ho posato il giornale ed abbiamo iniziato a parlare. Come se io fossi ancora la bambina che ero, quando, nasetto all’insù, entravo a fantasticare tra i giochi. E con la stessa confidenza di sempre, anche se ci si incrocia solo di rado.
Raccontavo di me, della mia vita ora, e intanto osservavo questi nonni sorridenti e premurosi verso il nipotino, vispo e curioso com’è giusto che sia alla sua età.
Abbiamo bevuto, insieme, il caffè, ed è stato allora che ho notato, all’anulare sinistro di questo signore, una “decina” del rosario. Non un anello. Una coroncina che teneva stretta e che ogni tanto, col pollice, faceva avanzare di un passetto.
L’ho guardata e l’ho guardato.
“Ce l’ho sempre con me”, mi ha detto, “perché l’Ave o Maria, l’invocazione alla Vergine accompagna tutti i momenti di tutte le mie giornate. Non so quanti rosari recito, in un giorno… Prego mentre sono in bicicletta, mentre faccio la fila alla posta o al supermercato, mentre cammino… Prego perché non posso stare senza sentire, qui, accanto a me, la presenza della Madonna. Perché è la preghiera che ci tiene in comunione con il Cielo e con la terra…”.
Mentre la moglie lo ascoltava, nelle labbra, appena accennato, lieve le è comparso un sorriso, e i suoi occhi emanavano una pace e una luce che non diresti possibile in una madre che un giorno di tanti anni fa ha perso, in un incidente in moto, un figlio diciassettenne, all’epoca appena più giovane di me.
Nel poco tempo trascorso insieme, un po’ ascoltavo lui, un po’ gli guardavo la mano sinistra e questa sua inseparabile decina del rosario, un po’ incrociavo lo sguardo dolce e sereno della moglie (eppure il cuore, mi dicevo… chissà come continua a sanguinarle, in mezzo al petto, il cuore…).
E intanto che li osservavo e ascoltavo la delicata tenacia di quest’uomo nel ripetermi che “però c’è modo e modo di pregare, che non serve a niente sgranare Ave o Maria pensando ad altro, e che la preghiera vera è quella fatta col cuore”, mi rendevo conto che solo in quel momento stavo comprendendo davvero, e cioè nel profondo, le parole di papa Paolo VI, che amava ricordare che “il tempo della preghiera non è evasione, ma ‘in-vasione’ del divino nella vita”. Guardandoli, ho compreso: solo quando la fede diventa esperienza capace di dare senso a tutto, perché “tiene insieme tutto”, proprio come quella coroncina, è possibile guardare al passato, al presente e al futuro con la certezza di un disegno misterioso eppure “buono”. Non esistono in commercio rimmel, o eye liner, o lenti a contatto in grado di rendere “così” gli occhi di una madre che abbia perso un figlio!
Abbiamo bevuto insieme il caffè e poi ciascuno si è apprestato a continuare la sua strada. Il piccolo è salito in bicicletta, nel seggiolino dietro, e ci siamo salutati.
“Racconta alla signora Luisella dove andiamo adesso”, ha detto la nonna rivolgendosi al nipotino. “Andiamo a salutare lo zio Giovanni!”, ha risposto lui: occhi furbissimi e un sorrisone.
Lo zio Giovanni: questo zio che non c’è più, perché gli hanno spiegato che è in Cielo, in braccio alla Madonna, ma che tutti i giorni si può andare a salutare. Non è nascosto, dimenticato, come si fa con i brutti pensieri dai quali cercare in ogni modo di distrarsi. Continua ad essere presente in tutti e una compagnia per tutti. Nei genitori e per i genitori; nelle due sorelle. Anche per i quattro nipotini che mai l’hanno visto. Presente in quella misteriosa eppur concretissima “comunione tra Cielo e terra”, possibile solo grazie alla preghiera.
Li saluto con la mano e seguo con lo sguardo le bici che partono. Ciascuno andrà a fare le cose che deve fare, penso. A vivere la vita che non siamo noi a scegliere, ma che ci è data.
Le nostre biciclette prendono strade diverse, eppure il cuore mi dice che la meta è la stessa.
In questo tempo lento dell’estate, nel dettaglio di una “decina” del rosario, inseparabile compagna di cammino, ho visto che “si può vivere così”: come questo papà e questa mamma. Come questo nonno e questa nonna. In pace con la vita e con la morte. Conviene.  

13 agosto 2011

Incontrare qualcosa che corrisponda alla nostra attesa



Quando penso a un giovane di oggi che si sta aprendo alla vita, sono invaso da una tenerezza infinita: come si orienterà in questa babele piena di opportunità e di sfide in cui gli tocca vivere? Basta vedere la televisione, o accostarsi a un’edicola o a una libreria per vedere la varietà di opzioni che si trova davanti. Scegliere quella giusta è un’impresa ardua.
Ma se da una parte è commovente pensare a un ragazzo che si trova davanti a una simile sfida, mi meraviglia ancor di più il fatto che colui il quale ci ha posto nella realtà non abbia avuto alcun ritegno nel correre un simile rischio. Fino al punto di scandalizzare coloro che vorrebbero risparmiarlo a se stessi e agli altri, figli, amici o alunni che fossero.
Il Mistero, tuttavia, non ci ha lanciato nell’avventura della vita senza fornirci di una bussola con cui potessimo orientarci. Questa bussola è il cuore. Nella nostra epoca il cuore è stato ridotto a un sentimento, a uno stato d’animo. Ma tutti noi possiamo riconoscere nella nostra esperienza che il cuore non si lascia ridurre, non si conforma a nessuna cosa. «L’uomo è veramente creato per ciò che è grande, per l’infinito. Qualsiasi altra cosa è insufficiente», dice il Papa nel suo Messaggio. E noi lo sappiamo bene.
Perciò, chi prende sul serio il suo cuore, fatto per ciò che è grande, comincia ad avere un criterio per comprendere se stesso e la vita, per giudicare la verità o la falsità di qualunque proposta che spunti all’orizzonte della sua vita. «Vi vengono presentate continuamente proposte più facili, ma voi stessi vi accorgete che si rivelano ingannevoli, non vi danno serenità e gioia».
C’è qualcosa che sia all’altezza delle nostre esigenze più profonde, che possa rispondere al nostro anelito, grande come l’infinito? Molti risponderanno che una cosa simile non esiste, vista la delusione che in tante occasioni hanno sperimentato riponendo la loro speranza in qualcosa che era destinato a deluderli. Ma nessuno di noi può fare a meno di sperare. È irrazionale questa aspettativa? E allora, perché speriamo? Perché è la cosa più razionale: nessuno di noi può affermare con certezza che non esiste.
Ma scopriremo che esiste solo se avremo l’opportunità di incontrare qualcosa che corrisponda veramente alla nostra attesa. Come i primi che incontrarono Gesù: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!»
Da quando questo fatto è entrato nella storia, nessuno che ne abbia avuto notizia ha più potuto o potrà stare tranquillo. Tutto lo scetticismo del mondo non potrà eliminarlo dalla faccia della terra.
Resterà là, sull’orizzonte della sua vita, come una promessa che rappresenta la più grande sfida che abbia dovuto affrontare. «Chi mi seguirà riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna». Solo chi ha il coraggio di verificare nella vita la promessa contenuta nell’annuncio cristiano potrà scoprire che esso è capace di rispondere alla sua attesa. Senza questa verifica non potrà esistere una fede all’altezza della natura razionale dell’uomo, vale a dire, capace di continuare a essere interessante per lui.

di Julián Carrón tratto da  Alfa y Omega, 28 luglio 2011

YouCat: il catechismo dei giovani alla GMG di Madrid

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YouCat è un regalo personale di Benedetto XVI per i pellegrini della Giornata Mondiale della Gioventù che si svolgerà a Madrid nei prossimi giorni.

Pensando sempre ai giovani e cosciente che in loro è il futuro della Chiesa e della società, Papa Benedetto XVI, in questa Giornata Mondiale della Gioventù, ha voluto far loro un regalo molto speciale: lo YouCat (Youth Catechism). Questo libro che tutti i pellegrini troveranno nei loro zaini è un chiaro strumento affinché i giovani possano vivere il lemma di questa GMG: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede

Questo compendio della fede è formato da 280 pagine nelle quali si cerca rispondere, in modo semplice e adatto ai giovani, alle principali domande della fede cattolica. Tratta le inquietudini e i dubbi che sono presenti nella gioventù di oggi, perché, come afferma il Papa: “I giovani di oggi non sono tanto superficiali come si dice di loro. Vogliono sapere che cosa è veramente importante nella vita.”

Questo libretto è un gioco continuo di domande e risposte dinamico e brioso. In questa maniera i giovani potranno trovare le risposte che cercano in un modo nuovo, affascinante e divertente. Dice il Papa nel prologo dello Youcat: “Questo libro è avvincente perché ci parla del nostro stesso destino. Vi presenta il messaggio del Vangelo come ‘la perla preziosa’ (Mt 13, 46), per la quale bisogna dare ogni cosa.”

Ha un design semplice e attraente in cui si intercalano fotografie e spiritose illustrazioni al fine di renderlo più visuale e vicino ai giovani.
È molto facile da utilizzare, poiché è chiaramente diviso in quattro parti: la prima, intitolata “Che cosa crediamo”, parla di Dio e delle Scritture; la seconda parla dei sacramenti; la terza riguarda la vita in Cristo, parlando dei 10 comandamenti, la vocazione… e infine, come bisogna pregare.
Da Madre Teresa a Dostoevskij



Una delle cose più interessanti e innovative di questo libro piccolo, ma con un grande contenuto, è che nelle colonne laterali delle pagine si aggiungono citazioni di santi e maestri della fede, e anche di letterati e pensatori di tutti i tempi. Nell'edizione in spagnolo per la GMG ci sono citazioni da Madre Teresa di Calcutta a Gandhi, passando per alcuni dei patroni di questa GMG - come Giovanni Paolo II, Santa Teresa di Ávila, San Giovanni della Croce o San Ignazio di Loyola - fino ad Aristotele, Dostoevskij, Lewis, Cervantes o Lope de Vega.
“Non aver paura che un giorno finirà la tua vita! Temi piuttosto di perdere l'occasione di cominciarla correttamente”, è una delle citazioni del Beato Henry Newman.
Anche le fotografie cambiano da un'edizione all'altra: nell'edizione in spagnolo per la GMG ci sono foto delle opere di Gaudí, un cruzeiro del Cammino di Santiago di Compostela o Nostra Signora di Guadalupe. 

13 luglio 2011

leggere ai bimbi



E' fantastico leggere ai bimbi, godi di quello 'stupore' che gli adulti ormai hanno perso. Per il mio piccolo nipotino che ha da poco compiuto tre anni, sono da tempo il suo gioco preferito, vorrebbe sentirsi leggere i libri in continuazione.
Quando non lo si sente più scorrazzare per casa, è seduto in qualche angolo con uno dei libri preferiti sulle ginocchia, se lo gira e rigira in continuazione cercando di ripetere, a modo suo, alcuni pezzi della storia che gli è stata raccontata.
Non ama molto gli audiolibri, preferisce sfogliare i libri e sentire la storia letta dal vivo, ha anche gusti difficili, se una storia non è bella e non gli piace, stoppa subito la lettura dicendo: questa no, non è bella. Mentre gli leggevo Toy story mi ha pure corretto qualche parola inglese, che lui invece conosceva bene avendo visto il DVD.
Certo che gli editori per ragazzi pubblicano testi bellissimi e molto curati, sia come illustrazioni che come contenuto, a volte un po' costosi.
Grazie al cielo ci sono le biblioteche pubbliche, che offrono gratis alle famiglie un ampio panorama di ciò che viene pubblicato.

02 luglio 2011

Sognando il mare

Ecco dove vorrei essere in questo momento, sdraiata ad ammirare la stupenda penisola sorrentina al posto di questa fanciulla.

15 giugno 2011

Lasagne leggere ricotta e zucchine

E' proprio vero che si gusta prima con gli occhi che con il palato, date un occhiata a Fiordirosmarino, un nuovo sito che ho appena scoperto, vi propongo una ricetta trovata li.


Ingredienti per 6 persone

  • 250 g di lasagne fresche
  • 200 g di zucchine
  • 10 fiori di zucca
  • Basilico
  • 200 g di ricotta  vaccina casalinga
  • ½ cipolla di Tropea
  • 250 g di mozzarella fior di latte
  • Parmigiano grattugiato
  • Sale alle erbe
  • Pepe
  • Olio evo
Per il sugo:
  • 1 piccola carota
  • ½ costa di sedano
  • ½ cipolla di Tropea
  • 500 g di passata di pomodoro (conserva casalinga)
  • Basilico
  • Olio evo
  • Sale
Preparare il sugo:
Soffriggere in poco olio il trito di carota, sedano e cipolla, aggiungere la passata di pomodoro, salare e cuocere per un'ora circa. Verso fine cottura profumare con il basilico.
Preparare le zucchine:
in una padella con due cucchiai di olio far appassire per un paio di minuti la cipolla affettata, aggiungere le zucchine tagliate a dadini, salare, pepare e cuocere per una decina di minuti. Aggiungere i fiori di zucca tagliati grossolanamente e il basilico spezzettato con le mani e continuare la cottura per uno o due minuti al massimo. 
Quando le zucchine saranno raffreddate completamente unirle alla ricotta. 
Assemblare:
Ungere una pirofila da forno con dell'olio, mettere un pò di sugo sul fondo e sistemare uno strato di lasagne, cospargere con un pò del composto di zucchine e ricotta, mozzarella tagliata a dadini, sugo e parmigiano. Continuare a strati fino ad esaurimento degli ingradienti. Terminare con sugo e parmigiano.
Coprire con carta alluminio e infornare a 200° per 30 minuti. Gli ultimi 5 minuti scoprire la pirofila per dorare la superficie.

03 giugno 2011

Sposati e sii sottomessa

"Sposati e sii sottomessa": una raccolta di lettere di amicizia sulla vocazione matrimoniale. Dietro al titolo provocatorio, tra tachipirina, smalto e lavoro, ci sono storie di «chi sta sotto e regge il mondo»

La copertina del libro.
Costanza Mirano
Sposati e sii sottomessa

Vallecchi, Firenze 2011
p. 258
12,50€ 





L'emancipazione per donne senza paura.
di Ines Maggiolini

tratto da [Tracce.it] 1 giugno 2011


Irritante. La prima sensazione, a leggere il titolo, è netta: mi fa innervosire. Almeno così accade a me, che ho detto sì, davanti a Dio, oltre venticinque anni fa. Sposati e sii sottomessa è quanto di più lontano vi possa essere, in tema di amore e matrimonio, dalla cultura dominante, ovvero da quella che ci è penetrata nei polmoni insieme con l’aria che respiriamo. È vero, il Vangelo, almeno una volta l’anno, ci ripropone il messaggio paolino sul matrimonio, ma gli stessi preti si esercitano a smussare, mitigare, diluire il cuore di questo messaggio. Invece Costanza Miriano fa l’esatto opposto e non a caso si rivolge a “donne senza paura”. Sì perché, superata l’irritazione iniziale, ci vuole del coraggio a scegliere la strada indicata dall’autrice. Per 248 pagine, sotto forma di lettere ad amiche ed amici, descrive la convenienza umana dell’obbedienza leale e generosa e della sottomissione nel matrimonio. Perché, spiega, «sotto si mette chi è più solido e resistente, perché è chi sta sotto che regge il mondo».
Non è né vuole essere una riflessione teologica, neppure un trattato sociologico: è solo un’amica che racconta verità scritte nel nostro cuore, anche se spesso trascurate e neglette. E cioè che maschio e femmina sono diversi, l’uno incarna la guida e l’autorità, lei il servizio e l’accoglienza, a cominciare dai figli che Dio vorrà concederle, che sposarsi significa iniziare un’avventura destinata alla felicità, ma non estranea alla fatica e al sacrificio, che la maternità è la prima vocazione, anche se non l’unica, della donna.
Riflessioni che spuntano fra un «dosaggio di Tachipirina» e l’insopprimibile «necessità di una cabina armadio», dallo smalto Chanel alla borsa all’ultima moda. In fondo è una nuova forma di emancipazione quella perseguita da Costanza Miriano, se è vero che emancipazione ha a che fare con libertà. E allora si giudicano i tempi e le condizioni di lavoro («si parla solo di aumentare gli asili nido, mai di politiche di vera flessibilità» o ancora «servono dei cospicui assegni familiari, o il famoso quoziente»), la scuola e l’emergenza educativa, il rapporto fra carriera e potere («una donna è accogliente e il comando ha altre logiche»).
La fede, la dottrina cristiana sul matrimonio si vivificano nell’esperienza quotidiana, tanto da poter dire all’amica Margherita: «È Luigi la via che Dio ha scelto per amarti, ed è lui la tua via per il cielo… La nostra vocazione, qualunque sia, è sempre per farci felici».

29 maggio 2011

Canti popolari russi

Ieri sera ho ascoltato un concerto di canti popolari russi, ho ancora negli occhi e nel cuore la bellezza di quella triste melodia, è stata un'occasione inaspettata e non prevista ringrazio chi mi ha invitato.
Vi segnalo l'acquisto di un bellissimo cd che spesso ascolto

Spirto Gentil, n. 4 - Canti popolari russi


Spirto Gentil, n. 4 - Canti popolari russi vol. 1


I canti popolari russi appartengono a una tradizione la cui origine si perde nella notte dei tempi anche se le prime raccolte manoscritte risalgono al XVII secolo: questo divario non deve stupirci considerando il fatto che per tanti secoli tale vastissimo patrimonio è stato tramandato di padre in figlio attraverso la sola memoria, personale e collettiva.
Il canto ha da sempre accompagnato ogni gesto del popolo russo, da quello più umile e consuetudinario, come il lavoro dei campi, agli avvenimenti solenni della sua vita, come le nozze o i funerali. Attraverso il canto venivano espressi sinteticamente lo stupore, la paura, le speranze dell'uomo di fronte al mistero della realtà: tutto questo fascio di attese assunse, nei tempi pagani, caratteristiche ancestrali, magiche, mitologiche.
L'arrivo dell'annuncio cristiano (X secolo) non distrusse i tentativi precedenti, ma valorizzò la tradizione e propose un rapporto nuovo con il Mistero.(...).
La musica dei canti popolari russi riveste i testi spalancandone gli orizzonti e introducendo spesso elementi contrastanti: in questo modo emerge, anche in argomenti di per sé banali, una profondità impensata. Per questo, canti dal contenuto triste possono presentare un ritmo energico, vivace e una melodia agile che fanno guardare alle vicende dolorose con rassegnazione o con un sorriso, e viceversa, canti dal contenuto allegro hanno spesso una melodia malinconica e un ritmo lento, invitando a meditare sulla fugacità delle cose.
Le melodie, soprattutto dei canti solistici, hanno un'estensione notevole, sfruttano gli intervalli ampi, riportando alla mente la vastità dei paesaggi russi che si aprono su sterminati orizzonti: lo sguardo, invitato ad affondare nella loro profondità sconfinata, è introdotto nel presentimento della misteriosità del reale, nella nostalgia d'Infinito.(...)

28 maggio 2011

Un punto rosso alla Puerta del Sol

Migliaia di persone, ogni sera, riempiono la piazza-simbolo di Madrid. Sono gli "indignados": un fenomeno che interroga gli analisti. E noi. Perché è «un invitato a sorpresa» che spiazza la politica. E smuove la routine di ciascuno.
In università, un gruppo di amici esce dalla lezione e si dà appuntamento alla Puerta del Sol. Il giorno dopo non tornano nemmeno a lezione. La gente che cambia canale quando si parla di elezioni adesso vuole essere informata su quello che succede a Madrid. L’agenda politica cambia: tutti devono dire qualcosa su questo fenomeno così complesso. Finalmente molti trovano uno sfogo alla loro insoddisfazione. Valido o no. E guardano con simpatia a questo avvenimento, che esprime qualcosa già di per sé. E tutte le sere la piazza si riempie. Sta succedendo qualcosa. "Siamo protagonisti della storia", dice qualche cartello. E chi non vuol essere protagonista? Chi non desidera che una novità, una sorpresa entri nella sua vita? In sintesi: chi non desidera essere felice, uscire dalla routine, respirare un po’ d’aria fresca?
foto Icaro di Henri Matisse
Dice, opportunamente, il manifesto che Comunione e Liberazione ha pubblicato prima delle elezioni comunali e regionali autonome: «Gran parte del malessere sociale, in questo periodo di crisi, ha a che vedere con questa censura del desiderio infinito che ci costituisce. Quando i desideri e i bisogni reali delle persone sono estromessi dal dibattito pubblico, cresce l’ideologia. E genera violenza, per quanto tacita».
In questa campagna elettorale è subentrato un fattore che non era previsto, un invitato a sorpresa: il “desiderio illimitato di realizzazione che è parte di noi”, che Matisse ha genialmente rappresentato come un punto rosso all’altezza del cuore del suo Icaro. I politici non lo capiscono. Sono inquieti. Come molta gente perbene e conformista...

LEGGI TUTTO L'ARTICOLO SUL SITO DI CL

di Ignacio Carbajosa, tratto da [Tracce.it] 25 maggio 2011
 

25 aprile 2011

E' veramente una vita nuova la nostra. Siamo fatti creature nuove

Cari amici, augurandovi una Felice e Santa Pasqua vi dono uno stralcio dell'omelia del giorno di Pasqua del card. Angelo Scola.



[...] "La resurrezione è un seme fecondo che entra nel mondo, silenziosamente attecchisce per poi fiorire attraverso la catena dei testimoni. «E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10, 38-41).
Perché Dio volle che si manifestasse non a tutto il popolo ma a testimoni prescelti? Qual è la ragione di questo metodo con cui il Risorto sceglie di manifestarsi al mondo? Perché dobbiamo fidarci di un piccolo gruppo di discepoli? Benedetto XVI ci offre una convincente risposta. Scrive il Papa: «La domanda riguarda, però, non soltanto la risurrezione, ma l’intero modo in cui Dio si rivela al mondo. … non è forse proprio questo lo stile divino? Non sopraffare con la potenza esteriore, ma dare libertà, donare e suscitare amore» (J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, 305-306).
Emerge qui il grande valore del nostro essere in relazione. Il Risorto ci fa comprendere che la vera, più profonda conoscenza passa attraverso l’altro, anzi attraverso l’amore dell’altro. Solo l’amore è credibile e dà ragione di ogni cosa. Dal dono amoroso dei testimoni passa l’evidenza della fede. La loro esperienza è contagiosa, proprio come quella che ogni uomo sperimenta nei rapporti di autentico amore: «Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande le donne corrono a dare l’annuncio ai suoi discepoli» (Mt 28, 8). L’amore è fonte privilegiata di evidenza.
Come non riconoscere con umiltà, colmi di gioia pasquale, che da questo continuo rinnovarsi di rapporti non possiamo più prescindere? Se siamo soltanto un poco sinceri con noi stessi non è di questo che abbiamo ogni giorno bisogno? Anzitutto ognuno di noi, singolarmente preso, ha sete di buone relazioni a cominciare da chi gli è prossimo. Ma anche nella società civile in tutte le sue espressioni, massimamente in ambito politico, sentiamo la necessità di rapporti rinnovati costruttivi e reciprocamente rispettosi". [...] segue [Leggi l'intera omelia]



20 marzo 2011

Farmacisti, no legittimo a pillola del giorno dopo

farmacia_2.jpgIl Comitato nazionale di bioetica ha espresso in maggioranza un orientamento favorevole al riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza ai farmacisti rispetto alla vendita dei “contraccettivi di emergenza”, la cosiddetta “pillola del giorno dopo”: lo si può leggere nella “Nota in merito alla obiezione di coscienza del farmacista alla vendita di contraccettivi di emergenza”, approvata dal Cnb il 25 febbraio scorso in risposta a un quesito dell’on. Luisa Santolini.

La deputata aveva chiesto al Cnb di pronunciarsi “in ordine alla correttezza deontologica e/o comunque etica del farmacista che, invocando la clausola di coscienza prevista peraltro dal proprio Codice Deontologico all’art.3, comma 1 lett. C), rifiuti di vendere prodotti farmaceutici per i quali non si esclude la possibilità di un meccanismo d’azione che porti all’eliminazione di un embrione umano”.

I fatti sono noti: la “pillola del giorno dopo” è un prodotto che, somministrato entro 72 ore da un rapporto sessuale che potrebbe aver dato luogo a un concepimento, può impedire la gravidanza. Nella letteratura scientifica c’è dibattito sul suo effettivo meccanismo di funzionamento: agisce solo da contraccettivo, impedendo la fecondazione, oppure può avere anche un effetto antinidatorio, cioè può impedire a un embrione già formato di annidarsi in utero?

Il foglietto illustrativo che accompagna il prodotto non esclude questa seconda possibilità, che vorrebbe dire un precocissimo aborto chimico, tra l’altro mai verificabile: perché sia efficace, infatti, questa pillola deve essere presa quando ancora è impossibile sapere se un embrione si è formato o meno. Incertezza sulla presenza di un embrione, quindi, e anche sul meccanismo di azione del prodotto chimico. Ma proprio perché è in gioco una vita umana, pur nelle prime ore della sua esistenza, la questione è delicatissima. In questi anni alcuni farmacisti hanno chiesto, in analogia a quanto concesso ai medici per l’aborto, di poter fare obiezione di coscienza: come i medici possono rifiutarsi di attuare una legge dello Stato, la 194, che ha legalizzato l’aborto in Italia, e quindi non partecipare alle procedure abortive, così alcuni farmacisti chiedono di sottrarsi all’obbligo di consegnare questo specifico prodotto a chi lo chiede, pure se con la prevista ricetta medica. 
La consegna di un farmaco in presenza di ricetta è infatti obbligo di legge, ed è una disposizione che tutela i cittadini: è solo il medico a stabilire di cosa ha bisogno il suo paziente, e nessun altro. Ma questa norma – sacrosanta – è stata introdotta nell’ordinamento quando l’aborto era un reato, e non potevano essere commercializzati prodotti esplicitamente abortivi. Il farmacista, tra l’altro, non è un commesso specializzato, ma fa parte del sistema sanitario nazionale con un suo ordine professionale, e tanto di codice deontologico. Se consegna un farmaco anche solo potenzialmente abortivo, diventa, di fatto, l’ultimo attore decisivo in un percorso che porta alla soppressione di una vita umana.[...segue] Leggi tutto su SAFE
di Assuntina Moressi, tratto da [SAlute FEmminile] 18 marzo 2011

18 marzo 2011

11 marzo 2011 il terremoto in Giappone



Il nucleare, per parlar d'altro.

Un numero imprecisato di vittime. Un fragore che inghiotte città, vite, speranze. Uno spettacolo tremendo della nostra piccolezza. Una lezione che gli antichi e i nuovi saggi ci ripetono, in opere profonde di filosofia, in bellezze strazianti di poesie e fino in proverbi popolari: siamo qui provvisori, siamo "quasi" niente come diceva Leopardi.
Sgomento che può indurre a due atteggiamenti: disperazione o senso religioso dell'esistenza. Rifiuto della vita come bene o senso del mistero.
E invece si mettono tutti a parlar d'altro. Del nucleare. Come se fossero tutti ingegneri. Tutti, giornalisti, opinionisti, baristi, politici... Non che il problema non sia serio, e anche strumentalizzato. Ma così si è trovata nel grande disagio la via per uscire, per distrarsi, per parlar d'altro. Per non guardare in faccia la nostra piccolezza, e che cosa questa chiede alla nostra coscienza normale. Si è preferito ancora una volta la distrazione.

di Davide Rondoni, tratto da clanDestino Zoom numero 382 - 16 Marzo 2011

10 marzo 2011

Regno Unito: educazione sessuale anche all'asilo, rivolta dei genitori

Leggendo questa notizia sono rimasta esterefatta!!!!
Un tempo si arrivava quasi al matrimonio in situazioni in cui i futuri sposi ricevevano dai genitori, nel migliori casi - perché spesso neppure questo avveniva - una spiegazione dei rapporti sessuali con esempi di api che impollinano i fiori, ma realistici fumetti illustrati fin dalla materna è veramente troppo. Forse questi signori non si rendono conto di quanto male stanno facendo ai propri figli e alla società che stanno costruendo. E qui sfido chiunque a definir bigotta questa posizione, sono più che certa che anche una persona non religiosa è d'accordo, basta avere solo un po' di buon senso.  Difatti nei 16 Comuni del Regno Unito tutti i genitori, non solo i cristiani, si sono ribellati.
Lo stupore che nasce dalle emozioni, dall'affetto verso l'altro non è e non può essere solo mera corporeità. 
Mi domando poi perché esiste il diritto di scelta se frequentare o meno le ore di religione e invece c'è l'obbligo di frequentare corsi di educazione sessuale. Strano mondo il nostro, scopriremo negli anni la profondità della ferita che si sta infliggendo alla nostra umanità, quando forse non sarà più possibile porre rimedio allo  squarcio provocato alla dignità del vivere, al gusto del vero, del bello e del giusto.

***


Non c'è da meravigliarsi se il Parlamento Europeo fatica a difendere i diritti umani basilari e quelli dei cristiani, se nei suoi paesi la lesione di tali diritti è tollerata, se non addirittura perpetrata per legge.

Dopo i
corsi sessuali obbligatori della Spagna di Zapatero, nel Regno Unito ben 16 Comuni hanno deciso di introdurre l'educazione sessuale anche all'asilo. I manuali sono osceni. A mo' di fumetto si vedono genitori che fanno sesso, con tanto di spiegazioni sulle posizioni possibili e su come avviene l'atto, con esplicita menzione di peni e vagine. La lesione del diritto di libertà educativa è tale che oltre all'Istituto cristiano inglese, sono gli stessi genitori a ribellarsi.

La maggioranza chiede di poter esentare dai corsi i figli se in disaccordo con gli insegnamenti impartiti.
Il ministero dell'Istruzione si è, però, limitato a dire che «secondo la legge, le scuole devono assicurarsi che l'educazione sessuale sia appropriata all'età e alla maturità degli alunni». Comunque «spetta agli insegnanti usare della loro professionalità per decidere in merito».

Dello scorso 9 marzo, invece, la notizia della sentenza che ha
condannato a 43 giorni di prigionia una mamma che nel 2006 si era rifiutata di pagare una multa da 2.340 euro per essersi rifiutata di far partecipare i propri figli a dei corsi sessuali contrari al proprio credo cristiano. Ora, gli avvocati della donna, membri di un istituto per la libertà religiosa, si sono appellati alla Corte europea per i diritti dell'uomo. Purtroppo però la Corte giudica sempre a partire dalle leggi statali e in Germania la scuola è obbligatoria, tanto che per lo stesso motivo una famiglia si è rifugiata in America con diritto d'asilo per persecuzione di una libertà fondamentale.

Tornano quanto mai
attuali le parole che il Santo Padre ha rivolto lo scorso gennaio al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede: «Riconoscere la libertà religiosa significa, inoltre, garantire che le comunità religiose possano operare liberamente nella società, con iniziative nei settori sociale, caritativo o educativo... E’ preoccupante che questo servizio che le comunità religiose offrono a tutta la società, in particolare per l’educazione delle giovani generazioni, sia compromesso o ostacolato da progetti di legge che rischiano di creare una sorta di monopolio statale in materia scolastica»

«Esorto tutti i governi» continuava Benedetto XVI, «a
promuovere sistemi educativi che rispettino il diritto primordiale delle famiglie a decidere circa l’educazione dei figli e che si ispirino al principio di sussidiarietà, fondamentale per organizzare una società giusta... Proseguendo la mia riflessione, non posso passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione».

di Benedetta Frigerio, tratto da [Tempi.it] 9 marzo 2011 

03 marzo 2011

Io voglio servire Gesù

«Voglio che la mia vita dica che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora – in questo mio sforzo per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita». 

Sono parole pronunciate qualche tempo fa da Shahbaz Bhatti, ministro pakistano per le minoranze, cattolico, ucciso martedì 1 marzo a colpi d’arma da fuoco in un agguato tesogli nella città di Islamabad.

Già co-fondatore e direttore dell’APMA (All Pakistan Minorities Alliance), un’organizzazione che rappresenta le comunità emarginate e le minoranze religiose del Pakistan, da ministro si è speso in prima persona per la pari dignità di tutte le comunità del Paese. Recentemente era intervenuto nella vicenda di Asia Bibi, pronunciandosi con decisione a favore di una revisione della legge sulla blasfemia. Forse proprio questa ultima sua battaglia ha mosso i suoi assassini.



Shahbaz Bhatti, così scriveva nel libro Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza.
 
Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: «No, io voglio servire Gesù da uomo comune».
Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora – in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese.
Molte volte gli estremisti hanno cercato di uccidermi e di imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Gli estremisti, qualche anno fa, hanno persino chiesto ai miei genitori, a mia madre e mio padre, di dissuadermi dal continuare la mia missione in aiuto dei cristiani e dei bisognosi, altrimenti mi avrebbero perso. Ma mio padre mi ha sempre incoraggiato. Io dico che, finché avrò vita, fino all’ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri.
Voglio dirvi che trovo molta ispirazione nella Sacra Bibbia e nella vita di Gesù Cristo. Più leggo il Nuovo e il Vecchio Testamento, i versetti della Bibbia e la parola del Signore e più si rinsaldano la mia forza e la mia determinazione. Quando rifletto sul fatto che Gesù Cristo ha sacrificato tutto, che Dio ha mandato il Suo stesso Figlio per la nostra redenzione e la nostra salvezza, mi chiedo come possa io seguire il cammino del Calvario. Nostro Signore ha detto: «Vieni con me, prendi la tua croce e seguimi». I passi che più amo della Bibbia recitano: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Così, quando vedo gente povera e bisognosa, penso che sotto le loro sembianze sia Gesù a venirmi incontro.
Per cui cerco sempre d’essere d’aiuto, insieme ai miei colleghi, di portare assistenza ai bisognosi, agli affamati, agli assetati.
Shahbaz Bhatti, Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza,
Marcianum Press, Venezia 2008 (pp. 39-43)
tratto da Oasis, 2 marzo 2011



21 febbraio 2011

I moralisti di oggi sono quei libertini che ieri hanno rovinato i nostri figli?


I nuovi moralisti di oggi dovrebbero riflettere su quei 'modelli' che un tempo han propinato come rivoluzionari ai giovani come loro, 'modelli' che poi han riproposto anche ai loro figli.
Ma adesso che succede, non san più come frenare l'orda dilagante di mancanza di senso...e allora alt, fermi tutti, ecco madre giustizia che rimette a posto tutto... e tanto per non smentirci, cominciamo da chi ci stà proprio qui...nel gozzo. 
Attenti però che se non cominciate a guardare la vita con occhi diversi, a partire da casa vostra, da chi vi è accanto...rischiate di inghiottire solo bocconi amari. La vera libertà è solo dentro un rapporto, una vicinanza, una condivisione giudicata giorno per giorno e non un "figlio mio sei libero di fare ciò che vuoi".





Carlo Bellieni, neonatologo di fama, oggi ha scritto questa lettera al quotidiano on-line ilsussidiario.net, la trovo di una profondità incredibile.


***


Caro direttore,


due parole da pediatra, perché i risvegli di “decenza” e moralismo, cui assistiamo in questi giorni da parte di chi strombazza il liberismo più selvaggio in campo sessuale, ci fanno prima sorridere, e poi piangere per i riflessi sui più piccoli. Anche perché il primo messaggio che passa loro è che la morale si fa solo quando torna comodo, dato che sanno bene che oggi si parla di decenza, mentre fino a ieri si raccontava che il matrimonio è una convenzione, e che è normale fare sesso col primo arrivato. E i nostri bambini bevevano tutto questo, lo assorbivano e lo assorbono.


Avete idea di quante ore di pornografia si sorbiscano i nostri bambini quando scarrellano sulla tv o su internet? E non vi siete mai stupiti perché le vostre bambine a 10 anni magari si truccano, o vogliono le scarpe coi tacchi, o usano termini come “sexy” o “fashion”, per descrivere un’amichetta? E vogliono abiti firmati, sanno tutto delle trasgressioni sessuali delle star di Hollywood che poco a poco diventano loro idoli, tanto più sono dedite a eccessi pornografici. E in ogni edicola da decenni campeggiano immagini di donne spogliate e messe in vendita sulle copertine dei giornali, e sono alla portata di tutti. E si svegliano oggi e parlano oggi di decenza avvilita?


Sono o non sono icone del cinema “progressista” i film Colazione da Tiffany e Pretty Woman, che parlano come niente fosse di prostitute tanto da farle considerare vere e proprie icone? E vi scandalizzate oggi? Tanti hanno chiesto per anni la prostituzione equiparata a qualsiasi altro lavoro, mentre noi gridavamo che era inaccettabile, e sono diventati i primi moralizzatori.


Bastava leggere il Newsweek del Febbraio 2007 per capire come l’allarme è planetario, dato che, vi si legge, stiamo allevando una generazione di baby-prostitute! E i neomoralisti di oggi non li sentivamo scandalizzati a leggere che bimbe si fanno foto nude e le vendono, che vanno a fare le sexy-cubiste minorenni, che fanno sesso quando hanno i primi brufoli e sono invitate a farlo da quasi tutte le star che vanno in tv.


Eppure erano usciti libri come Ancora dalla parte delle bambine (Loredana Lipperini, 2007), che lanciava un allarme forte e chiaro da vera femminista verso la diffusione dell’indecenza tra i minori; e allarmi verso modelli di cartoons e bambole dove le eroine non sono anoressiche, ma hanno un vitino di 10 cm di circonferenza, e delle cosce lunghe e slanciate, ombelico di fuori e chili di mascara, ombretto e lucidalabbra. Eppure esistevano La sindrome di Lolita di Anna Olivero Ferraris, (2008) o Sporche femmine Scioviniste (2006), in cui Ariel Levy, voce del femminismo, denuncia le contraddizioni, l’ambiguità e l’incongruenza di quello che viene spacciato per il “nuovo potere delle donne”. Ma finora i guru progressisti non sembravano né averli letti, né aver preso coscienza dell’orrore.

E si svegliano ora a parlare di “decenza”? Gli araldi ormai anziani del ‘68 - quelli che solo ora si scandalizzano - hanno creato una generazione di figli senza ideali, capace da vent’anni di vendersi per un jeans, la generazione degli “echo-boomers”, cioè di quelli che vivono solo di riflesso degli ideali dei genitori, ma senza ideali propri.

Il moralismo e il richiamo alla “decenza” di chi ha distrutto il cuore e il cervello di questa generazione farebbe ridere, se non fosse tragico richiamo a un orrore: quello di una generazione senza fede e senza speranza, che ha inquinato il cuore dei figli, che li ha buttati a gozzovigliare senza senso e senza coraggio, e ha chiamato tutto questo “libertà”.

di Carlo Bellieni, tratto da [ilsussidiario.net] 21 febbraio 2011





07 febbraio 2011

Jean Leclercq. Liberi dentro un'obbedienza

Qual è, a suo giudizio, l'essenza della libertà benedettina?

La libertà benedettina è la libertà cristiana. Essa consiste primariamente in un consenso all'essere, a Dio, così come fa Cristo nel Getsemani. La vita monastica, improntata alla Regola di san Benedetto, è una scuola di vita in cui si è educati a essere liberi. Liberi dentro un'obbedienza. Questo è infatti il mistero della vita cristiana: più si obbedisce più si è liberi.
Da un'intervista a Jean Leclercq pubblicata sul libro di
Massimo Borghesi, Maestri e testimoni. Profili filosofico-teologici del'900.


Imparare a leggere
di Pigi Colognesi, tratto da [ilsussidiario.net] 7 febbraio 2011


Jean Leclercq - qualche giorno fa si è celebrato il centenario della sua nascita - era un monaco benedettino ed è stato uno dei massimi studiosi del pensiero e della spiritualità monastica del Medioevo.

A lui si deve un decisivo allargamento di prospettiva in questi studi; egli, infatti, ha dato un contributo fondamentale alla riscoperta della «teologia monastica», cioè di quella che non si faceva nelle università e nelle scuole - «scolastica» - bensì nei monasteri. Una teologia che non punta prioritariamente all’elaborazione teorica e sistematica, ma all’immedesimazione esistenziale, al cammino spirituale.

Nel suo capolavoro Cultura umanistica e desiderio di Dio (fortunatamente ripubblicato in Italia nel 2002) Leclercq ricorda che la molla che spingeva tanti uomini del medioevo a farsi monaci era, in sintonia con l’impostazione di san Benedetto, esattamente il «desiderio di Dio». A questo era finalizzato ogni aspetto della vita, compreso lo studio (l’originale francese del titolo non parla di «cultura umanistica», ma di un più chiaro amour des lettres, che potremmo leggere come «passione per la conoscenza»).

Nel crogiuolo di questi due elementi, presi nel giusto ordine gerarchico, è fiorita, la grande sapienza di san Bernardo di Chiaravalle, uno degli autori più studiati da Leclercq, e di molti altri da lui riscoperti.

Cultura umanistica e desiderio di Dio, spiegando formazione, fonti e frutti della cultura monastica, è ricchissimo di spunti d’insegnamento anche per noi oggi. Esemplifico riportando alcuni brani in cui Leclercq illustra che cosa significasse per i monaci medievali leggere e riflettere su quanto si è letto.
Per noi, quando non è una frettolosa ricerca di stimoli o di informazioni che subito svaniranno, la lettura è sostanzialmente il tentativo di immagazzinare dei concetti. Per i monaci, mossi dal «desiderio di Dio», era operazione del tutto differente; per loro «leggere un testo era impararlo a memoria nel senso più forte di questo atto, cioè con tutto il proprio essere: con il corpo poiché la bocca lo pronuncia, con la memoria che lo fissa, con l’intelligenza che ne comprende il senso, con la volontà che desidera metterlo in pratica».

Dunque, un atto che coinvolge tutto l’io e non solo i neuroni del suo cervello. Questo metodo, scrive più avanti Leclercq, «porta a riconoscere grande importanza al testo e alle singole parole». Tanto che i teologi monastici chiamavano la loro riflessione ruminatio, proprio come fa un bovino che ha appena pasturato.

Riflettere «significa aderire strettamente alla frase che si ripete, pensarne tutte le parole per giungere alla pienezza del loro senso». È un’azione che «assorbe e impegna tutta la persona» e si trasforma «necessariamente in una preghiera».

Mi pare una modalità da riscoprire nella nostra superficiale frenesia di lettori sbadati. Del resto, dice ancora Leclercq, i monaci avevano un compito, quello di «mostrare, con la loro stessa esistenza, la direzione in cui bisogna guardare». Non solo nel Medioevo.