Il Comitato nazionale di bioetica ha espresso in maggioranza un orientamento favorevole al riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza ai farmacisti rispetto alla vendita dei “contraccettivi di emergenza”, la cosiddetta “pillola del giorno dopo”: lo si può leggere nella “Nota in merito alla obiezione di coscienza del farmacista alla vendita di contraccettivi di emergenza”, approvata dal Cnb il 25 febbraio scorso in risposta a un quesito dell’on. Luisa Santolini.
La deputata aveva chiesto al Cnb di pronunciarsi “in ordine alla correttezza deontologica e/o comunque etica del farmacista che, invocando la clausola di coscienza prevista peraltro dal proprio Codice Deontologico all’art.3, comma 1 lett. C), rifiuti di vendere prodotti farmaceutici per i quali non si esclude la possibilità di un meccanismo d’azione che porti all’eliminazione di un embrione umano”.
I fatti sono noti: la “pillola del giorno dopo” è un prodotto che, somministrato entro 72 ore da un rapporto sessuale che potrebbe aver dato luogo a un concepimento, può impedire la gravidanza. Nella letteratura scientifica c’è dibattito sul suo effettivo meccanismo di funzionamento: agisce solo da contraccettivo, impedendo la fecondazione, oppure può avere anche un effetto antinidatorio, cioè può impedire a un embrione già formato di annidarsi in utero?
Il foglietto illustrativo che accompagna il prodotto non esclude questa seconda possibilità, che vorrebbe dire un precocissimo aborto chimico, tra l’altro mai verificabile: perché sia efficace, infatti, questa pillola deve essere presa quando ancora è impossibile sapere se un embrione si è formato o meno. Incertezza sulla presenza di un embrione, quindi, e anche sul meccanismo di azione del prodotto chimico. Ma proprio perché è in gioco una vita umana, pur nelle prime ore della sua esistenza, la questione è delicatissima. In questi anni alcuni farmacisti hanno chiesto, in analogia a quanto concesso ai medici per l’aborto, di poter fare obiezione di coscienza: come i medici possono rifiutarsi di attuare una legge dello Stato, la 194, che ha legalizzato l’aborto in Italia, e quindi non partecipare alle procedure abortive, così alcuni farmacisti chiedono di sottrarsi all’obbligo di consegnare questo specifico prodotto a chi lo chiede, pure se con la prevista ricetta medica.
La deputata aveva chiesto al Cnb di pronunciarsi “in ordine alla correttezza deontologica e/o comunque etica del farmacista che, invocando la clausola di coscienza prevista peraltro dal proprio Codice Deontologico all’art.3, comma 1 lett. C), rifiuti di vendere prodotti farmaceutici per i quali non si esclude la possibilità di un meccanismo d’azione che porti all’eliminazione di un embrione umano”.
I fatti sono noti: la “pillola del giorno dopo” è un prodotto che, somministrato entro 72 ore da un rapporto sessuale che potrebbe aver dato luogo a un concepimento, può impedire la gravidanza. Nella letteratura scientifica c’è dibattito sul suo effettivo meccanismo di funzionamento: agisce solo da contraccettivo, impedendo la fecondazione, oppure può avere anche un effetto antinidatorio, cioè può impedire a un embrione già formato di annidarsi in utero?
Il foglietto illustrativo che accompagna il prodotto non esclude questa seconda possibilità, che vorrebbe dire un precocissimo aborto chimico, tra l’altro mai verificabile: perché sia efficace, infatti, questa pillola deve essere presa quando ancora è impossibile sapere se un embrione si è formato o meno. Incertezza sulla presenza di un embrione, quindi, e anche sul meccanismo di azione del prodotto chimico. Ma proprio perché è in gioco una vita umana, pur nelle prime ore della sua esistenza, la questione è delicatissima. In questi anni alcuni farmacisti hanno chiesto, in analogia a quanto concesso ai medici per l’aborto, di poter fare obiezione di coscienza: come i medici possono rifiutarsi di attuare una legge dello Stato, la 194, che ha legalizzato l’aborto in Italia, e quindi non partecipare alle procedure abortive, così alcuni farmacisti chiedono di sottrarsi all’obbligo di consegnare questo specifico prodotto a chi lo chiede, pure se con la prevista ricetta medica.
La consegna di un farmaco in presenza di ricetta è infatti obbligo di legge, ed è una disposizione che tutela i cittadini: è solo il medico a stabilire di cosa ha bisogno il suo paziente, e nessun altro. Ma questa norma – sacrosanta – è stata introdotta nell’ordinamento quando l’aborto era un reato, e non potevano essere commercializzati prodotti esplicitamente abortivi. Il farmacista, tra l’altro, non è un commesso specializzato, ma fa parte del sistema sanitario nazionale con un suo ordine professionale, e tanto di codice deontologico. Se consegna un farmaco anche solo potenzialmente abortivo, diventa, di fatto, l’ultimo attore decisivo in un percorso che porta alla soppressione di una vita umana.[...segue] Leggi tutto su SAFE
di Assuntina Moressi, tratto da [SAlute FEmminile] 18 marzo 2011