Ho appena terminato di leggere un libro di Papasogli sulla figura di Giuseppe Moscati, medico Santo.
Prepotentemente mi balza agli occhi il grande divario tra la professione medica ai tempi di Moscati e l’attuale. Non fraintendetemi, non sto parlando di tecnologia e tutte le innovazioni in campo diagnostico che permettono oggi al medico, una diagnosi sempre più precisa in grado di intervenire con successo nella cura del paziente. Allora Moscati non lasciava nulla al caso, la sua grande conoscenza gli era indispensabile, ma per lui era nulla se non considerava ogni cosa del paziente, tutto di lui voleva conoscere per formulare la diagnosi e la cura, e sovente, andava oltre curando anche lo spirito.
Certamente Moscati ancor prima di essere medico era uomo, uomo vero che tutto metteva nelle mani di Dio.
Il divario mi è ancor più evidente leggendo l’articolo di Francesco D’Agostino “Strozzata da un eufemismo la figura classica del medico” pubblicato su Avvenire il 24 marzo.
Eufemismo (dal greco eu, bene, e phème, quanto detto) è una figura retorica con la quale si attenua l'asprezza di un concetto, usando una parola più mite più discreta.
Sembra secondo alcuni che questo avvenga per scrupoli religiosi o morali o per rispetto delle convenienze sociali. Ecco alcuni di questi esempi di significato attenuato di una parola troppo cruda: 'Non è più con noi', 'Se n'è andato' per 'È morto', 'male incurabile' per 'tumore'.
D’Agostino nel suo articolo parla di alcuni eufemismi abbastanza innocui, per poi farci riflettere con grande maestria su come alcuni termini vengono usati non solo per nascondere, ma anche per deformarne la percezione. Le armi della distruzione della coscienza dell’uomo diventan sempre più sottili.
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Stralcio dell'articolo di D'Agostino:
«… Il primo esempio eclatante lo si è avuto ormai parecchi anni fa, quando al posto del correttissimo termine 'divorzio' nel nostro sistema giuridico è entrata l’espressione 'scioglimento del matrimonio'.
Quando poi si è voluto legalizzare l’aborto, si è fatto ricorso a 'interruzione volontaria della gravidanza': l’acronimo IVG è diventato di uso comune e ha di fatto garantito che la sostanza del processo di riferimento (cioè appunto l’aborto) fosse percepita come del tutto burocratica e sanitaria. Ben più di recente, un’espressione assolutamente corretta come 'fecondazione artificiale' è stata messa da parte e genialmente sostituita da PMA, 'procreazione medicalmente assistita': come se l’intervento del medico nel processo fosse di mero supporto all’atto procreativo e non (almeno il più delle volte) artificialmente sostitutivo nei suoi confronti!
Su questa scia, nella scorsa legislatura sono stati presentati disegni di legge per dare riconoscimento giuridico all’IVS, cioè alla 'Interruzione volontaria della sopravvivenza': quel processo che alcuni bioeticisti erano ormai soliti chiamare 'suicidio assistito', ma che indubbiamente è apparso più gentile definire attraverso un nuovo acronimo, oltretutto ulteriormente legittimato dalla sua contiguità, non solo fonetica, con l’IVG.
Ci si poteva fermare qui? Naturalmente no, dato che la fantasia lessicale è inesauribile e la passione per gli eufemismi sembra incontenibile. Ecco quindi l’avvento nei Paesi di lingua anglosassone dell’espressione MAD, cioè 'Medically Assisted Death', morte medicalmente assistita. Un eufemismo meno ridicolo di quelli che abbiamo citato, ma ben più tragico e proprio perciò rivelativo più dei precedenti.
Nella MMA (per riformulare l’acronimo secondo gli usi linguistici italiani) emerge infatti con chiarezza che ciò che si pretende di ottenere, cioè né più né meno che la morte, deve realizzarsi essenzialmente grazie all’intervento 'assistenziale' di un medico. Situazioni tragiche e estreme, malattie terminali, sofferenze, pietà, desiderio di autodeterminarsi, insomma tutto l’insieme dei concetti che supportano l’esperienza dell’eutanasia nell’immaginario collettivo non compaiono in quest’espressione, perché non devono comparirvi: resta sola, a giganteggiare, la figura del medico, come quella di chi interpreta riassuntivamente la propria funzione come quella di chi è chiamato ad assistere, cioè a 'produrre' la morte.
Per chi usa questo eufemismo, non può che seguirne inevitabilmente l’idea che sia legittimo ricorrere alla MMA in tutta una varietà si situazioni: anche quando la malattia non sia terminale, anche quando non dia sofferenze, anche nelle situazioni in cui non ci siano incontenibili pulsioni pietose ed anche - perché no? - quando manchi la stessa autodeterminazione (basterà da parte del medico presumerla!). L’essenziale è che al centro della vicenda ci sia il medico, il signore della vita e della morte, colui che è in grado di usare il 'farmaco' nella sua duplice valenza di medicinale e di veleno. Così, dopo duemilacinquecento anni, umiliata da un eufemismo, si sta avviando al suo tramonto – se non saremo in grado di reagire – la tradizione della medicina ippocratica.»
Non mi dire!
RispondiEliminaHai aperto un nuovo blog e non mi hai informato?
Eh... Nonnainternauta!
Spero di diventarlo anch'io nei prossimi anni (almeno nonna...)
Nonna di sicuro, internauta lo sei già da un pezzo.
RispondiEliminaCiao nonnetta! è sempre una gioia quando vengono al mondo dei bambini, e anche quando nel web c'è un neonato blog si gioisce. Hai cominciato alla grande, con un Santo molto amato dalle mie parti; fino a pochi anni fa i vecchietti delle mie zone ancora se lo ricordavano quando veniva a fare le visite per i casi gravi, e se erano poveri non si pagava, e regalava anche le medicine. Buona navigazione, carissima! In c...lo alla balena, come ci si augura tra la ciurma!;-p
RispondiEliminaRita
Carissima Rita, veramente è già un po' che è aperto, anche se i post sono solo tre, ma come sai non è stato un periodo facile quest'ultimo e in più occasioni sono ricorsa a Moscati.
RispondiEliminaGrazie degli auguri, comunque non preoccuparti non arriverò mai ad aprire tanti blog quanto te.