Vincent Van Gogh - Notte stellata sul Rodano - particolare (Musée d’Orsay, Parigi)

16 agosto 2011

L'invasione del divino


Ultimamente navigando in rete mi capita di imbattermi in mostruose schifezze, come ad esempio la nonciclopedia, che mi fanno sentire impotente di fronte al male che seminano.
Ma grazie al cielo ho qualcuno a cui guardare, che mi fa volgere lo sguardo verso la vera Bellezza celata nei piccoli fatti di ogni giorno; amici come don Gabriele Mangiarotti che segnalando la testimonianza di Luisella Saro "L'invasione del divino" così scrive: "... e mi accorgo che il migliore antidoto alla violenza che ci circonda, alla banalizzazione della vita e dell’amore, alla crescita di una umanità senza volto né speranza sia proprio la testimonianza di un modo altro di vivere. Quel modo che trova nella testimonianza dei santi (quelli di cui la Didachè diceva di cercarne ogni giorno il volto per trovare conforto nel loro conversare) un alleato potente e infallibile".

In questa calda giornata d'agosto desidero donarvela, a me ha dato molta gioia e sono certa renderà lieti anche voi.

L'invasione del divino di Luisella Saro
tratto da [Cultura Cattolica.it] 2 agosto 2011



Van Gogh, Terrazza del caffè in Place du Forum ad Arles la sera

E’ bello il tempo dell’estate: è un tempo lento. Puoi guardare le cose e le persone con più attenzione, puoi fermarti a scambiare quattro chiacchiere senza la dittatura dell’orologio, vera o presunta che sia.
Ed è in questo tempo lento, in questo sguardo meno frettoloso e superficiale, che puoi scoprire, se lo vuoi, i dettagli. Nelle cose, nelle situazioni, nelle persone. Come l’altro giorno, al bar.
Mentre, sola, stavo sfogliando il quotidiano, in attesa del caffè, è entrato il titolare del negozio di giocattoli che si trovava in piazza, accanto a casa mia, e che è ormai chiuso da anni. Al suo posto, ora, una banca.
Con lui, la moglie e l’ultimo dei quattro nipotini. Tra poco compirà tre anni.
Ho posato il giornale ed abbiamo iniziato a parlare. Come se io fossi ancora la bambina che ero, quando, nasetto all’insù, entravo a fantasticare tra i giochi. E con la stessa confidenza di sempre, anche se ci si incrocia solo di rado.
Raccontavo di me, della mia vita ora, e intanto osservavo questi nonni sorridenti e premurosi verso il nipotino, vispo e curioso com’è giusto che sia alla sua età.
Abbiamo bevuto, insieme, il caffè, ed è stato allora che ho notato, all’anulare sinistro di questo signore, una “decina” del rosario. Non un anello. Una coroncina che teneva stretta e che ogni tanto, col pollice, faceva avanzare di un passetto.
L’ho guardata e l’ho guardato.
“Ce l’ho sempre con me”, mi ha detto, “perché l’Ave o Maria, l’invocazione alla Vergine accompagna tutti i momenti di tutte le mie giornate. Non so quanti rosari recito, in un giorno… Prego mentre sono in bicicletta, mentre faccio la fila alla posta o al supermercato, mentre cammino… Prego perché non posso stare senza sentire, qui, accanto a me, la presenza della Madonna. Perché è la preghiera che ci tiene in comunione con il Cielo e con la terra…”.
Mentre la moglie lo ascoltava, nelle labbra, appena accennato, lieve le è comparso un sorriso, e i suoi occhi emanavano una pace e una luce che non diresti possibile in una madre che un giorno di tanti anni fa ha perso, in un incidente in moto, un figlio diciassettenne, all’epoca appena più giovane di me.
Nel poco tempo trascorso insieme, un po’ ascoltavo lui, un po’ gli guardavo la mano sinistra e questa sua inseparabile decina del rosario, un po’ incrociavo lo sguardo dolce e sereno della moglie (eppure il cuore, mi dicevo… chissà come continua a sanguinarle, in mezzo al petto, il cuore…).
E intanto che li osservavo e ascoltavo la delicata tenacia di quest’uomo nel ripetermi che “però c’è modo e modo di pregare, che non serve a niente sgranare Ave o Maria pensando ad altro, e che la preghiera vera è quella fatta col cuore”, mi rendevo conto che solo in quel momento stavo comprendendo davvero, e cioè nel profondo, le parole di papa Paolo VI, che amava ricordare che “il tempo della preghiera non è evasione, ma ‘in-vasione’ del divino nella vita”. Guardandoli, ho compreso: solo quando la fede diventa esperienza capace di dare senso a tutto, perché “tiene insieme tutto”, proprio come quella coroncina, è possibile guardare al passato, al presente e al futuro con la certezza di un disegno misterioso eppure “buono”. Non esistono in commercio rimmel, o eye liner, o lenti a contatto in grado di rendere “così” gli occhi di una madre che abbia perso un figlio!
Abbiamo bevuto insieme il caffè e poi ciascuno si è apprestato a continuare la sua strada. Il piccolo è salito in bicicletta, nel seggiolino dietro, e ci siamo salutati.
“Racconta alla signora Luisella dove andiamo adesso”, ha detto la nonna rivolgendosi al nipotino. “Andiamo a salutare lo zio Giovanni!”, ha risposto lui: occhi furbissimi e un sorrisone.
Lo zio Giovanni: questo zio che non c’è più, perché gli hanno spiegato che è in Cielo, in braccio alla Madonna, ma che tutti i giorni si può andare a salutare. Non è nascosto, dimenticato, come si fa con i brutti pensieri dai quali cercare in ogni modo di distrarsi. Continua ad essere presente in tutti e una compagnia per tutti. Nei genitori e per i genitori; nelle due sorelle. Anche per i quattro nipotini che mai l’hanno visto. Presente in quella misteriosa eppur concretissima “comunione tra Cielo e terra”, possibile solo grazie alla preghiera.
Li saluto con la mano e seguo con lo sguardo le bici che partono. Ciascuno andrà a fare le cose che deve fare, penso. A vivere la vita che non siamo noi a scegliere, ma che ci è data.
Le nostre biciclette prendono strade diverse, eppure il cuore mi dice che la meta è la stessa.
In questo tempo lento dell’estate, nel dettaglio di una “decina” del rosario, inseparabile compagna di cammino, ho visto che “si può vivere così”: come questo papà e questa mamma. Come questo nonno e questa nonna. In pace con la vita e con la morte. Conviene.  

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